Il contropiede di Saro |e il catenaccio del Pd - Live Sicilia

Il contropiede di Saro |e il catenaccio del Pd

Il governatore ha attaccato per difendersi. E mediaticamente è riuscito nell'intento. Il resto del partito però è stato ricompattato dai suoi strali. E ora sul caso Megafono si attende la sentenza di Roma. Mentre per la corsa alla segreteria...

PALERMO – “Dovevano fare il processo a noi. Finì al contrario”. Sintetizzava così ieri pomeriggio all’hotel San Paolo, un democratico di rito crocettiano, dopo il pirotecnico show del governatore, presentatosi alla direzione del partito con intenti bellicosi e con tanto di spillino del Megafono. Rosario Crocetta ci ha provato, a modo suo, a segnare in contropiede. E almeno sul piano mediatico, c’è riuscito, come sempre. Perché i titoli sono stati tutti per il suo j’accuse al Pd, un’invettiva dai toni esasperati, che era stata preceduta della lettera, pubblicata da un quotidiano, in cui si riproponeva il classico schema, un po’ logoro ma collaudato: io lotto il malaffare e la mafia, chi mi attacca fa il gioco del malaffare e della mafia. Lettera che i compagni di partito non hanno proprio digerito e che è stata più volte evocata nel corso dei tanti interventi che si sono succeduti ieri nel corso della direzione. Interventi che hanno mostrato un Pd paradossalmente unito come mai, ma stavolta contro il suo presidente della Regione. O, più correttamente, contro il suo movimento politico, percepito ormai un concorrente del Pd a tutti gli effetti, e nel quale quindi chi sta con la tessera del Pd in tasca può essere tacciato, come ha fatto Antonello Cracolici, di bigamia.

Basta una battuta del solito Mirello Crisafulli a dare l’idea della giornata. L’ex parlamentare ennese domanda se è vero che “Crocetta vuole fare il segretario nazionale”. E quando il cronista gi risponde che il governatore ha detto qualcosa di simile, lui ribatte: “Ma del Megafono? Perché in quel caso voglio candidarmi io alle primarie del Megafono contro di lui”.

“Non si può stare in due partiti”, ripetono come un mantra, conversando nei corridoi, tutti i big del partito, a prescindere dalla corrente di appartenenza. Il contropiede dell’abile comunicatore Crocetta ha funzionato davanti ai cronisti, ma si è schiantato contro il catenaccio del partito, compatto, anzi forse proprio ricompattato dai toni accusatori del governatore.

Beppe Lumia mostra serenità. E ragiona: “Qui è in ballo l’idea stessa del congresso che vogliamo fare: se vogliamo chiuderci in noi stessi o se vogliamo aprirci alla gente, alla società. Io avverto nel partito la tentazione della prima scelta. Ma non si può fermare il Megafono, che è un’idea”. Già, “un’idea”, anche Crocetta dice la stessa cosa. Ma sul palchetto, con il consueto pragmatismo, l’esperto Angelo Capodicasa obietta: “Un’idea non si fa i gruppi consiliari autonomi nei Comuni”. E non c’è intervento in cui il concetto non ritorni. Fino all’approvazione del documento, che sul caso Megafono non fa sconti, e prelude a un supplemento di scontro. “Quando è in discussione il partito, sconti per nessuno”, commenta a margine con una battuta il capogruppo Baldo Gucciardi, che continua a impegnarsi per unire ma batte i pugni sul palchetto quando nel suo intervento cita la lettera di Crocetta: “Non mi ci riconosco, il Partito democratico con quella lettera non c’entra”.

Nuovo corso, renziani, Areadem, cracoliciani, lettiani: tutti alla fine concordano sulla linea dura nei confronti della “bigamia” (nel documento c’è scritto “doppia militanza”). Gli animi sono esacerbati. E anche se nessuno mette in discussione il sostegno a Crocetta, il ritornello che si sente ripetere nelle conversazioni è: “Senza il Pd, non può fare niente”. Ancora Crisafulli, quando gli si chiede un commento alla famosa lettera, risponde così: “Crocetta si rilassi e guardi con più ottimismo alla Sicilia e al suo partito, che è stato molto generoso con lui”.

Intanto, mentre al seminterrato il dibattito prosegue, ed è un dibattito acceso e partecipato, davanti alla hall Crocetta siede con a portata di mano l’immancabile pacchetto di sigarette, circondato da fedelissimi e da un paio delle sue “assessore”. Il governatore ha parlato, ma non sembra troppo interessato ad ascoltare. In sala un altro gelese, Lillo Speziale, lo fa notare bollando come offensivo il suo atteggiamento. L’aria è tesa, “e se siamo a questo punto dopo otto mesi, quando dovremmo essere come gli sposini…”, commenta Cracolici.

La partita è certamente ancora aperta. E l’impressione è che sarà un arbitro terzo a dire l’ultima parola. Guglielmo Epifani è atteso in Sicilia nelle prossime settimane. A Roma il partito siciliano chiederà di dire una parola definitiva sul caso Megafono. Fin qui, dalla Capitale sono arrivate coperture all’operazione. Ma adesso, tra i dirigenti, c’è chi sussurra che Crocetta potrebbe davvero fare il suo partito nazionale, magari con Antonio Ingroia e i grillini dissidenti. “Roma deve intervenire a questo punto”, prevede un esponente di primo piano, lontano dai microfoni.

C’è poi la questione morale. Che Crocetta usa come clava contro il suo partito. E che torna negli interventi, con qualche polemica. L’idea non felicissima di candidare il presidente del Ciapi Ciccio Riggio alle regionali, ad esempio, viene evocata più volte come sintomo di un male da curare. Crocetta va giù duro sul punto, attacca facendo nomi e cognomi: Cocilovo, Rinaldi, Crisafulli, nomi che a suo dire il partito gli proponeva come assessori. Anche di questo si tornerà a parlare. Perché il dibattito è appena iniziato, in vista del congresso d’autunno. Crocetta ieri ha lanciato la proposta di un segretario giovane, Nelli Scilabra. Non un nome a caso, ma quello dell’assessore al ramo in cui il Pd è apparso più compromesso. “Se non dobbiamo mettere un giovane, per me va bene Lupo”, ha poi aggiunto il presidente della Regione. Il sempre flemmatico segretario, al tavolo della presidenza non ha battuto ciglio.

 


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