"Il Covid è nei pronto soccorso, i 'fragili' non sono rifiuti"

“Il Covid è nei pronto soccorso, i ‘fragili’ non sono rifiuti”

Mentre le ‘viro-star’ si sfidano, negli ospedali ci sono persone che fanno il loro lavoro, come sempre. La situazione
INTERVISTA AL MEDICO FAVITTA
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3 min di lettura

PALERMO- Mentre la temperatura del Coronavirus sale, mentre la politica si interroga, si divide e inevitabilmente polemizza, mentre le ‘viro-star’ (le star della virologia, reali o presunte) si sfidano, negli ospedali ci sono persone che fanno il loro lavoro, come sempre. E che, come sempre, reggono il peso delle contraddizioni altrui.
Il dottore Rosario Favitta è il responsabile del pronto soccorso dell’Ospedale Buccheri la Ferla, a Palermo. Sarebbe ‘Non Covid’, cioè destinato a tutte le altre urgenze, per evitare commistioni. Ma è impossibile separare i percorsi dell’emergenza in maniera netta. Il dottore Favitta parla per due minuti al telefono, mentre, invisibile agli occhi di molti, nelle corsie divampa la ‘Grande Guerra’ della pandemia, in un normale venerdì mattina.

Dottore, buongiorno, quanti pazienti positivi avete al momento?
“Cinque acclarati, due o tre con dispnea per cui aspettiamo il tampone molecolare, dopo il test rapido negativo”.

Mi pare che la distinzione tra pronto soccorso ‘Covid’ e ‘Non Covid’ sia saltata.
“Sì. Qui arrivano persone con sintomi chiari, solo che i medici di famiglia non hanno avuto la possibilità di visitarli, e che sono a casa da un po’ di tempo. Altri, con altre patologie, fanno il test rapido sull’ambulanza e a volte il tampone molecolare risulta positivo. Cerchiamo di mettere tutti in sicurezza e per ora ci riusciamo. Per ora reggiamo, non so per quanto”.

Quanti accessi avete?
“A settembre circa tremila, poco meno di cento al giorno. Da maggio a luglio abbiamo avuto una crescita, ad agosto una diminuzione e una ripresa a settembre. Sono diminuiti gli accessi inappropriati, viene chi ha davvero bisogno”.

Perché si sta creando l’effetto imbuto nei pronto soccorso?
“Perché sul territorio non c’è ancora una organizzazione funzionale rispetto al problema, ci sono pazienti che per giorni aspettano il tampone e la visita, e perché nei reparti Covid i posti scarseggiano. Siamo stretti in questa forbice. Da noi, si figuri, qualche giorno fa, sono arrivati pazienti dalla zona rossa di Torretta. Non si riesce a ricoverare i malati”.

Ma se uno ha un’emergenza gravissima, al pronto soccorso, riceve la stessa disponibilità di cura di un anno fa?
“Se è grave, sì, ha sempre la precedenza”.

E se c’è una frattura alla gamba?
“Dipende se il paziente è stabile oppure no. Se è stabile e non ha sintomi gli viene somministrato il tampone rapido che, da noi, ha dimostrato una buona affidabilità, e si prosegue con l’iter normale. Se, per esempio, ha la febbre, ci sono dei percorsi di sicurezza per evitare che entri in contatto con gli altri”.

Lei pensa che ci sarà il lockdown?
“Se non cambiano le cose, purtroppo, sì. La curva è in crescita esponenziale”.

Avete medici o infermieri positivi?
“Al pronto soccorso no, finora, miracolosamente. E tocchiamo ferro, se permette”.

Permetto. Cosa ne pensa dei cosiddetti negazionisti?
“Noi medici siamo abituati alla medicina basata sull’evidenza, si rimane perplessi ed è difficile rispondere. Bisogna far passare il messaggio della prudenza. Sa, ogni tanto, mi capitava di guardare, certo, non con piacere, la gente che buttava i rifiuti dai balconi. Questo può accadere se ritengo che la strada sotto casa non è mia, non mi riguarda, perché è di tutti nell’accezione negativa, cioè di nessuno. Ecco, pensiamo ai fragili, agli anziani, non sono ‘rifiuti’. L’anziano è il nonno o la nonna, il fragile è il padre o la madre…”.

Sta parlando ai giovani?
“Anche. E a certi adulti che danno il cattivo esempio. Noi operatori cerchiamo molto di curare l’aspetto umano, in sintonia con la missione dei Fatebenefratelli”.

Come?
“Agli anziani ricoverati qui che non possono incontrare nessuno diamo la possibilità di fare videochiamate con un tablet e le schede telefoniche fornite da Fra Alberto, il nostro priore, così possono parlare con i familiari. Mi creda, è uno spettacolo che non lascia indifferente vederli che non si sentono più soli, mentre sorridono e i volti si rischiarano”.


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