PALERMO – Il giorno dopo la maratona cittadina, Palermo si sveglia anestetizzata. L’aria è fredda, grigia e lo stadio delle Palme non brulica come ogni mattina di corridori amatoriali e non: molti oggi non hanno indossato le scarpe da corsa, le pettorine catarifrangenti, gli scaldamuscoli. Oggi gli amanti della corsa si sono risvegliati con un compagno in meno e il vuoto che Vincenzo Mutoli – barbiere palermitano colpito da un infarto ieri mattina, durante la diciottesima Maratona di Palermo – ha lasciato, sembra non avere parole. È un vuoto vero e lo si scopre avvicinandosi alla camera ardente dell’ospedale Villa Sofia, a pochi metri da quel luogo che ogni giorno vede allenarsi migliaia di palermitani.
Lì, davanti un edificio freddo con un targa dorata che ricorda a tutti il perché di una mattina così crudele, pochi metri quadrati d’asfalto sono occupati da molte persone e da un silenzio inconcepibile.
Sì, il giorno dopo è del silenzio, al di là delle polemiche per i soccorsi, al di là della forza del pianto. L’inutilità delle parole è manifesta quando ti ritrovi tra le persone che hanno vissuto accanto Vincenzo. “Il dolore è dolore. Dove si deve arrivare con tutte queste parole?”, dice uno dei ragazzi, probabilmente amici di Salvo, il figlio ventunenne che ieri ha perso un padre in modo inaspettato, incontrollato. Ancora silenzio, tra lo sport, la vita e il dolore. Che avvolge la signora con lo sguardo fiero e lucido seduta appena fuori la camera mortuaria, la ragazzina pallida e forte che tutti abbracciano, il ragazzo biondo che prova a consolare tutti, quando forse ha bisogno di essere consolato. Nessuno parla. Nessuno dice nulla. Silenzio.