Il fratello fu ucciso dalla mafia | Sì al contributo... 34 anni dopo - Live Sicilia

Il fratello fu ucciso dalla mafia | Sì al contributo… 34 anni dopo

L'agente Roberto Antiochia fu ucciso nel 1985. L'odissea giudiziaria dei familiari, per vedersi riconosciuti i propri diritti.

PALERMO – Per ottenere una sentenza definitiva sono passati 17 anni. I provvedimenti sono stati annullati ma per il pagamento delle somme occorrerà ancora aspettare che la Regione dia seguito alla sentenza. Sembrerebbe la “solita” storia che racconta delle lungaggini della giustizia amministrativa italiana in salsa siciliana ma questa volta in questa storia c’è di più: c’è il percorso giudiziario del fratello di una vittima di mafia, del fratello di Roberto Antiochia, l’agente di Polizia morto il 17 febbraio 1985 nell’agguato a Ninni Cassarà.

Il Cga, Consiglio di giustizia amministrativa della Regione Siciliana, ha sancito che l’assessorato regionale alla Famiglia ha sbagliato a non riconoscere il contributo per il pagamento delle spese processuali, così come ha fatto un errore il Tribunale amministrativo regionale con la sentenza di primo grado nel 2014 in cui non ha riconosciuto il diritto al contributo di Antiochia.

Nel 2002, dopo l’approvazione della legge per le misure di solidarietà in favore delle vittime della mafia, Alessandro Antiochia presentò una richiesta di accesso al fondo per le costituzioni di parte civile. Con questo fondo la Regione si impegnava a pagare ai familiari delle vittime di mafia sia le spese per gli onorari dei legali, sia le spese di soggiorno e viaggio del familiare costituitosi parte civile nei processi di mafia.

Alla luce di una legge del 1989, la famiglia di Antiochia aveva già chiesto un contributo alla Regione per il pagamento delle spese legate alla partecipazione al processo. Poi però con la nuova legge, approvata nel 1999, Antiochia presentò l’istanza di rinuncia al primo contributo per accedere al nuovo fondo. Dalla Regione, d’altronde, la famiglia del poliziotto non aveva mai ricevuto risposta. Dagli uffici regionali la risposta però fu quella di negare il contributo sul nuovo fondo e riconoscerlo su quello vecchio, proprio quello a cui però Antiochia aveva rinunciato.

Mentre i familiari dell’agente vittima della mafia volevano accedere a un regime dagli effetti più favorevoli, per l’amministrazione regionale valeva il divieto di cumulo dei benefici. Oggi però i giudici notano due aspetti ignorati sia dalla Regione che dal primo grado. Il primo. “L’accesso al beneficio in questione – si legge nella sentenza – non risulta essere stato comunicato alle parti appellanti prima della rinuncia operata dagli stessi, sicché la fase integrativa dell’efficacia del provvedimento favorevole non può ritenersi conclusa”. Quindi fin quando il contributo non fu concesso, non poteva ritenersi esistente. Poi i magistrati dicono di più e cioè che la legge del 1999 vieta di mettere assieme due contributi per lo stesso motivo ma non vieta di poterli richiedere tutti e due specie se di uno non si aveva mai avuto l’esito.

Così, dopo 17 anni di processi, 12 in primo grado e 5 in appello, il Cga ha dato ragione ad Alessandro Antiochia. Quel contributo andava riconosciuto. I provvedimenti sono stati annullati e alla Regione spetta riparare al torto eseguendo la sentenza.


Partecipa al dibattito: commenta questo articolo

Segui LiveSicilia sui social


Ricevi le nostre ultime notizie da Google News: clicca su SEGUICI, poi nella nuova schermata clicca sul pulsante con la stella!
SEGUICI