Pubblichiamo la quarta e ultima puntata del “manuale” dell’ex assessore regionale Mario Centorrino e di Antonella Gangemi. Le prime tre possono essere consultate qui: 1, 2, 3.
Abbiamo fino a questo momento esplorato del klientelismo le tipologie di modelli e le trame su cui si regge e si consuma. Cambiamo lente: cosa domanda il kliente al politico? Ed il politico al kliente? Partiamo dalla prima domanda. Al top della graduatoria, in assoluto, un lavoro, un posto, un salario. Il lettore comprenderà subito la differenza tra i tre termini. Si può percepire un salario senza lavoro ma con un posto ovvero avere un lavoro senza salario. Nella categoria del lavoro vanno comprese richieste di promozioni, trasferimenti, segnalazioni pure e semplici, anche consigli. Ma soprattutto l’informazione giusta al momento giusto. Come negli anni “ottanta” avvenne per i futuri “precari” iscritti, in base a un’illuminazione del santo protettore, alle liste di collocamento. La domanda di lavoro si svolge secondo una filiera allargata e scadenzata: per sé, per la moglie, per il figlio, per il nipote, per il cognato, per il genero. Filiere che si snodano per più anni, per più competizioni elettorali. Rinnovandosi di volta in volta.
Dopo il lavoro, c’è l’avanzamento della pratica, l’incarico, il progetto, il finanziamento, il primariato, lo “scavalco” nelle valutazioni per l’assegnazione di sussidi, case popolari, pensioni di invalidità, l’ottenimento di un credito senza garanzie persino mediazioni in diatribe e faide familiari. Al terzo posto i ruoli politici: fare il sindaco, l’assessore, il consigliere.
La panoplia delle istanze è troppo ampia per una descrizione esaustiva. C’è un punto importante che non va dimenticato. I flussi finanziari che sostenevano il klientelismo attraverso la creazione di “posti” di lavoro con diverse caratteristiche si sono esauriti. La filiera si è necessariamente dovuta restringere, i tempi di attesa, allungarsi. Tutto il resto, sia pure con ridimensionamenti, funziona ancora. Leggi mancia, tabelle alfanumeriche, provvedimenti senza copertura, emendamenti “ammucciati” e votati nella cinica consapevolezza che saranno impugnati in sede di controllo, continuano a rappresentare un buon menù per il kliente.
Si gioca spesso sui termini: stabilizzazione, ad esempio, viene fatta intendere come assunzione. Così come persistono le aree di occupazione precaria che inevitabilmente dipendono, per raggiungere una qualunque condizione di stabilità, dalla decisione pubblica. Quel che va annotato, ed andrebbe ulteriormente approfondito, è la segmentazione di queste aree che si traduce in una frammentazione del riferimento politico. Il klientelismo insomma è come un fiume alla cui portata concorrono diversi affluenti, ognuno con un nome ed una “paternità” diversa. Cui viene assicurata fedeltà a prescindere dalle sue appartenenze ideologiche, dalle sue “transizioni” (come ora si usa dire in gergo calcistico), dai suoi posizionamenti. Fiduciosi di queste caratterizzazioni che variano nel tempo opportuno sempre, per reciproco interesse, utilità al politico e, per simmetria, al kliente.
E’ venuto il momento di tirare le fila del discorso ed inoltrarci in un terreno dove prevalgono i commenti sulle discussioni.
Il klientelismo è un dato storico della politica siciliana. Ma non un connotato unico e peculiare. Perché lo riteniamo, in una certa lettura, esteso, non solo, come è intuitivo, all’intero Mezzogiorno ma anche all’intero Paese.
Quali sono, a volo d’uccello, i suoi effetti negativi? Forme di deresponsabilizzazione, forzature di selezioni meritocratiche, distorsioni nell’espressione del consenso politico, rifiuto di ideologie e, viceversa, accentuato culto della personalità. Costituire, infine, nel suo affievolirsi rabbia anticasta, odio verso tutto quanto odora di politica, desiderio generico di purificazione attraverso forme di rimozione e di vendetta sul piano elettorale.
E quali sono, invece, sempre a volo d’uccello, i suoi effetti positivi? Creazione di interrelazioni basate su reciproca fiducia, schemi sia pur “naif” di collaborazione, contributo alla coesione sociale, meglio, alla resistenza contro fenomeni di disgregazione. Un antidoto potente all’avversione dello Stato come soggetto regolatore, a tutte le colpe di un sistema paese che non è in grado di risolvere “fallimenti di mercato”, la disoccupazione, ad esempio. Chi ha provato a studiare la correlazione tra klientelismo e sottosviluppo non è giunto a risultati univoci. Un nome ed una regione: Gasparri e l’Abruzzo, esempi, conclamati in letteratura, di klientelismo positivo. Estesa klientela, sviluppo del reddito, dell’occupazione, dell’ infrastrutturazione.
Paradossalmente, chi invoca come soluzione di tutti i problemi la formazione di capitale sociale si trova in difficoltà nel dimostrare che il klientelismo non costituisce struttura di capitale sociale.
Una considerazione finale. Nessuno pensi di esserne fuori. Tutti in qualche modo siamo stati, lo siamo, lo saremo, padri e figli del klientelismo. In un’organizzazione sociale dove un’espressione del klientelismo, la raccomandazione, ci viene imposta dalla necessità di un ricevimento tempestivo dei nostri bisogni: dalla dichiarazione di nascita alla “trovatura” di un loculo nel cimitero.
Una chiosa a conclusione per individuare “l’anima” del klientelismo: “con la fame in corpo lo scudiero, e con molto appetito il padrone” (M. De Cervantes, Don Chisciotte della Mancia, 11,2). Questo è oggi un volto della Sicilia. E’ marmoreo, quasi immutabile o va decomponendosi? Se così fosse da quale immagine verrà sostituito? Forse dal politico che organizzerà nuove reti klientelari con finanziamenti diversi,rispetto ai precedenti, in nome dell’antimafia? Vantandosi del fatto che solo il klientelismo, in nome dell’antimafia, può sconfiggere il klientelismo mafioso?