Il messinese che non vuole | lasciare l'Afghanistan - Live Sicilia

Il messinese che non vuole | lasciare l’Afghanistan

ANSA (dell'inviato Stefano de Paolis) "Io spero di non andare via", dice scuotendo la testa Sigfrido Romeo, un agronomo di Messina che lavora ad un programma di sviluppo delle Nazioni Unite in Afghanistan e aspetta di sapere se nelle prossime ore dovrà lasciare il Paese assieme ai circa 600 addetti internazionali che l'Onu ha deciso di ritirare, "temporaneamente", per motivi di sicurezza. Romeo sente su di se e sui suoi colleghi dell'Undp la responsabilità di completare entro fine mese, come inizialmente previsto, un importante rapporto sulla situazione delle risorse idriche in Afghanistan.
L'Onu ha deciso il ritiro di 600 addetti
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ANSA (dell’inviato Stefano de Paolis) “Io spero di non andare via”, dice scuotendo la testa Sigfrido Romeo, un agronomo di Messina che lavora ad un programma di sviluppo delle Nazioni Unite in Afghanistan e aspetta di sapere se nelle prossime ore dovrà lasciare il Paese assieme ai circa 600 addetti internazionali che l’Onu ha deciso di ritirare, “temporaneamente”, per motivi di sicurezza. Romeo sente su di sè e sui suoi colleghi dell’Undp la responsabilità di completare entro fine mese, come inizialmente previsto, un importante rapporto sulla situazione delle risorse idriche in Afghanistan. “Si tratta di un lavoro complesso, avviato nell’estate dello scorso anno, che riguarda la vita quotidiana della popolazione, i rapporti con i Paesi confinanti, l’agricoltura”, dice con un senso di ansia palpabile, ricordando che la nuova strategia del presidente americano Barack Obama per l’Afghanistan dedica particolare attenzione allo sviluppo agricolo. “L’acqua – sottolinea – ha un impatto fondamentale sullo sviluppo umano”. “In questo Paese l’acqua c’é, ma non è mai stata gestita in maniera corretta”, dice accanto a lui, nella casa dei suoi parenti afghani a Kabul, Khwaga Kakar, responsabile del progetto, a sua volta in attesa di sapere del suo immediato futuro. “Chi ne aveva il controllo la usava come un’arma, magari erano signori della guerra, che arbitrariamente, in molti villaggi, decidevano, e decidono, chi deve averla e chi no”, dice Khwanga aggiungendo che anche la corruzione e la distruzione di infrastrutture hanno fatto il resto. Allo stesso tempo situazione va peggiorando costantemente, a causa della guerra, della crescita della popolazione e dei cambiamenti climatici, interviene Romeo, che ha 35 anni e ha già girato tanto: in Afghanistan è arrivato nel 2007 e prima é stato a lungo in Africa, occupandosi sempre di acqua. “E’ molto importante che il rapporto sia pronto nei tempi previsti, perché quando il nuovo governo si insedierà deve avere da subito un quadro chiaro e dettagliato della situazione”, aggiunge ancora Khwuanga, che è americana di adozione, ma le sue origini afghane la fanno sentire ancora più coinvolta nel suo lavoro. Come loro, anche centinaia di altri addetti dell’Onu sono impegnati in progetti umanitari che ora temono di vedere fortemente ritardati. Come quelli dell’Unicef, che si occupa dell’infanzia, o quelli del National Solidariety program, che si occupa di profughi e finanziamenti a progetti mirati, nei villaggi, o della Fao, che collabora con gli agricoltori fornendo sementi e assistenza. Ora tutto questo dovrà andare avanti di fatto solo con il personale locale, che teme anche di perdere il lavoro, dice ancora Romeo, che dei problemi di sicurezza non vuol sentir parlare. “Io – dice – mi sento a casa ovunque”. Si, ma i genitori, a Messina, che ne pensano? “Mia madre è tranquilla, é abituata, non si preoccupa, mi dice: Dio è con te”.

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