Confesso che sono un antico uomo di presepe. Colpa di mio padre, uomo di presepe anche lui e convinto sostenitore dell’Eduardo di Natale in Casa Cupiello, quello di “te piace o presebbio?”. Mio padre aveva un metodo tutto suo. Il contorno era schematico: montagne con le scatole delle scarpe, carta blu per il cielo. Ma nel presepe – diceva lui – quello che conta sono “gli invisibili”. Scusa papà, chi sono gli invisibili?, domandai bambino, fissandolo dal basso delle sue ginocchia, la mia altezza di allora. E lui paziente: “Tutti quelli che vorresti e che non sono con te. Ora, chi desidereresti adesso qui?”. “Vorrei Goldrake, non il pupazzo. Lui, in carne, acciaio e corna”. “Eccolo lì, accanto ai Re Magi – disse papà – tu non lo vedi ancora, però c’è. Basta immaginarlo. Il presepe è il luogo della felicità. Tutto quello che ti manca c’è. Sono sicuro che adesso lo vedi”. E io immaginai Goldrake Ufo robot, invisibile agli altri e visibile ai miei occhi. Goldrake, con la sua anima volante, sul sentiero dei Re Magi e degli uomini di buona volontà, verso la capanna del Bambin Gesù.
Non ho mai abbandonato quella vecchia regola. Nel presepe l’affare più importante, è ciò che tu riesci a guardare, a sognare, a stringere, a dispetto degli occhi. Oggi, per esempio, nel mio presepe, ho visto mio padre in cammino, con i suoi occhiali da professore, la sua borsa e la sua pipa. Mio padre in cammino, sotto la luce di una grandissima stella cometa.
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