Il mio sogno per Palermo - Live Sicilia

Il mio sogno per Palermo

Anticipiamo dal prossimo numero di I love Sicilia, la consueta rubrica "L'Infelice" di Felice Cavallaro: "Mi limito a descrivere un sogno personale 'infelicemente' tratteggiato negli anni scorsi..."

DAL PROSSIMO NUMERO DI I LOVE SICILIA
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4 min di lettura

Le luci del Festino illumineranno il declino e la speranza di Palermo. E il nuovo vecchio sindaco farà il miracolo di fare dimenticare per un giorno la peste tornata non solo per distrazione di Santa Rosalia. Auguri a lui e a noi tutti per questa estate cominciata invece col buio di Montepellegrino. Metafora di una città che spegne i suoi simboli. Nelle foto vedi il Pan di Zucchero e pensi a Rio de Janeiro. Il profilo ferroso della Tour Eiffel coincide con la città della Senna. Come il Partenone con la povera Atene. Ed era così nelle notti palermitane pure con il Castello costruito dall’ingegnere Utveggio, illuminato come un faro per i volenterosi naviganti nella nebbia locale.

Arriva Orlando e, invece, lassù qualcuno spegne l’interruttore. Quasi uno sgarbo. Con il Castello invisibile nelle notti di giugno, quando la città riscopre il piacere serale del gelato alla Marina. Dicono che mancano fondi, che bisogna risparmiare. Anzi, correggono che c’è un guasto alla cabina elettrica. Comunque, manca la luce. E manca forse perché bisogna trovare il modo di far camminare ogni attività sulle sue stesse gambe. Compreso questo luogo che da sempre considero logo di Palermo, marchio di fabbrica e di riconoscibilità di una città in cui ho espresso invano lo stesso sogno a tutti i sindaci da me conosciuti, dai tempi di Marchello e Mantione, Martellucci ed Elda Pucci, Insalaco e così via.

Ci riprovo, signor sindaco. Anche perché uno dei più simpatici e gioiosi, capaci, determinati e volenterosi protagonisti della sua campagna elettorale, Aurelio Scavone, quando per un caso me ne ha sentito parlare, mi è sembrato sorprendersi, entusiasta, pronto a chiedermi di stendere un appunto, di mettere nero su bianco l’idea, evidentemente ignaro di tanti articoli in cui l’ho spesso riproposta.

Metto le mani avanti, per non suscitare l’ilarità di fior di ingegneri e architetti che avranno studiato con strumenti scientifici il problema. Mi limito a descrivere un sogno personale “infelicemente” tratteggiato negli anni scorsi su questa rubrica. Non solo per il grande Scavone, ecco da dove penso Palermo debba ripartire.

Intanto, da un click per riaccendere le luci del Castello che mi piacerebbe un giorno, magari, i miei nipoti possano ammirare dalla piazza dell’Ucciardone mentre entrano nella fortezza borbonica svuotata dai detenuti perché frattanto recuperata con la ristrutturazione dei nove complessi a raggiera trasformati in auditorium, centri sociali, ritrovi, area congressi, palestre, teatri.

Tutto in continuità con l’aula-bunker godibile dopo un restyling come sala concerti, a riprova che allora la mafia, auguriamocelo, sarà quasi un ricordo, almeno per come la conosciamo, come cancro annidato dentro l’apparato pubblico e istituzionale.

Ecco un altro spazio proiettato, sempre sull’asse che ci lega al Castello, verso il mercato ortofrutticolo rivoluzionato al suo interno, zeppo di botteghe creative, artigiani, ristoranti e strutture simili a quelle del Covent Garden di Londra o degli antichi e riadattati Fish market di Boston o San Francisco.

Immagino (e lasciateci sognare!) cosa diventerebbe via Montepellegrino, (le nostre Ramblas?) fra l’attuale albergone che domina il mercato e la punta di quel triangolo delle Bermude che è oggi diventata la Fiera del Mediterraneo, oasi spenta e sfregiata prima dai pirati che l’hanno gestita, poi da amministratori ignavi, comunque incapaci, ma anche da troppi finti imprenditori mai disposti a rischiare un centesimo di tasca propria.

Il sogno qui diventa forse utopia ma proviamo a immaginare di legare e collegare il triangolo della Fiera con l’area della caserma Cascino. Proviamo a pensare di trovare spazi adeguati fuori dalla cinta urbana all’Esercito, come un giorno bisognerà fare per i detenuti dell’Ucciardone. Fiera e Cascino: un susseguirsi di strutture sportive open air, intervallate da ampi spazi, cinema, biblioteche, parchi gioco per bimbi e centri di ritrovo per giovani, piscine, viali e complessi tutto vetro e acciaio, qualcosa di simile a quanto fatto a Valencia da Calatrava (che non è solo l’architetto del ponte di Venezia).

Per ricominciare da questo sogno, il riscatto di Palermo, nonostante abbia parlato dei miei nipoti, cosciente dei problemi e dei tempi, bisogna intanto pensare di agganciare immediatamente Fiera e Cascino al faro della nebbia palermitana, appunto, Castello Utveggio. Da collegare con una teleferica di cui si parla da cent’anni, essenziale per accendere curiosità, stimolare l’interesse privato al sano business, avvicinare alla città un bene di eccezionale valore ridotto a una casa e a una cosa per pochi intimi. Non me ne vogliano presidente e consiglieri del Cerisdi, ma per una scuola d’eccellenza si potranno trovare mille altre sedi, mentre l’Utveggio deve tornare ad essere fruibile da turisti e palermitani restituendolo alla sua originaria vocazione di grande esclusivo hotel, circondato da ristoranti e caffè all’aperto, vista mozzafiato, una ruota panoramica da fare impallidire il parco giochi sul colle della spagnola Barcellona, i turisti appagati, su e giù con la funivia da far diventare logo di Palermo per depliant e cartoline, spot e racconti entusiasti di visitatori incantati anche dalla scoperta che giù, in pieno centro città, abbiamo un campo da golf con nove buche, come tanti non sanno pensando che Villa Airoldi sia stata solo una sala trattenimenti.

Sono i gioielli di Palermo da rimettere in mostra. Lucidati e illuminati da un faro, da un sogno, da un logo, ma soprattutto da un progetto complessivo capace di legare finalmente il mare, lì, a due passi dall’Ucciardone, al monte, lassù, al Castello accecato.

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