FIRENZE – “Secondo me ci sono sequestrati di serie a e di serie B, perché mio figlio è stato trattato malissimo. Ora cercano scuse e condoglianze, non è bello”. Così a SkyTg24 HD Vito Lo Porto, padre del cooperante italiano rimasto ucciso a gennaio in un raid Usa in Pakistan. Commentando l’aula semivuota oggi in Parlamento, durante l’intervento del ministro degli Esteri Paolo Gentiloni sulla morte del ragazzo, Lo Porto ha poi detto: “L’ho visto in tv. Non so quale colpa deve pagare mio figlio. Io – ha concluso – desidero ardentemente il suo corpo, voglio piangere con lui. Ancora non credo realmente che sia stato lui, come fa l’America a dire che è lui? È stato fatto un dna? È stato fatto qualcosa? Allora c’è qualcosa di mio figlio e io lo voglio, e lo vuole pure sua madre. Vogliamo solo il corpo di Giovanni”.
“Sono passati tre mesi dal raid americano, non so come sarà il corpo di mio fratello, se esista ancora. Qualsiasi cosa sia rimasta, anche un occhio, noi ne chiediamo la restituzione”. Lo dice all’ANSA Giuseppe Lo Porto, uno dei fratelli di Giovanni il giovane cooperante rimasto ucciso in un raid americano a gennaio scorso al confine tra Pakistan e Afghanistan.
“Vogliamo la verità su quello che è successo. Qualcuno dovrà darci delle spiegazioni. Gli Usa hanno sbagliato ma non se ne possono uscire con delle scuse. Vogliamo conoscere la verità e sapere cosa è successo veramente. Non sappiamo cosa sia successo laggiù. Gli Stati Uniti forse hanno aspettato una conferma per dare la notizia e poi l’hanno divulgata. Qualcosa sarà andato male, di certo se Obama, il presidente della potenza mondiale per eccellenza, ha chiesto scusa, qualcosa sarà andato storto. Se gli Stati Uniti non attaccavano, mio fratello non sarebbe morto. Non sono stati i talebani ad ucciderlo ma gli americani altrimenti Obama non avrebbe chiesto scusa”.
“E’ una questione di giorni, poi i riflettori su di noi si spegneranno… si dimenticheranno tutto… La vita va avanti, il dolore per la perdita di Giovanni resterà alla famiglia, e a mia madre”, ha detto Giuseppe Lo Porto, uno dei fratelli del cooperante ucciso in un raid americano a gennaio scorso.
“Non sappiamo nulla su come sia avvenuto il riconoscimento di mio fratello, alla Farnesina abbiamo già detto che rivogliamo il corpo e penso che anche per il governo questo sia un impegno”. “Penso che il governo prenderà come missione quella di riportare il corpo di mio fratello – prosegue – In questi anni, siamo stati sempre in contatto quotidiano con la Farnesina: 365 giorni all’anno per tre anni, ci hanno sempre chiamato sia a me che a mia madre”.
“Al di là del fatto che sono il fratello di Giovanni, da cittadino italiano posso solo dire che è stato vergognoso assistere a un’aula del parlamento semivuota, con appena 40 persone che litigavano tra loro. Mi vergogno di essere italiano”. “Le polemiche – aggiunge – le fanno tra loro solo per questioni di potere. In tv litigano, alla Camera litigano, dovrebbero dare l’esempio. All’estero che immagine diamo di questo Paese? Facciamo ridere”.
“A ottobre del 2014 ci è stato mostrato un filmato, un video dove c’era mio fratello Giovanni tenuto in ostaggio, dalle immagini sembrava stesse bene, non era denutrito”. Lo racconta all’ANSA Giuseppe Lo Porto, uno dei fratelli di Giovanni, parlando delle ultime immagini che ritraevano il cooperante italiano in vita. “Sembrava stesse bene – ripete Giuseppe – pensavano di poterlo rivedere presto. Avevamo una speranza…”.
Una foto ingrandita che ritrae Giovanni Lo Porto è stata esposta nel balcone al piano rialzato del palazzo di via Pecori Giraldi, a Palermo, dai familiari del cooperante rimasto ucciso in un raid americano a gennaio scorso. “Vive sempre con noi Giovanni” c’e’ scritto nel poster, appeso in ricordo del loro “Giancarlo”. Anche oggi nel modesto palazzo di otto piani alla periferia della città è stato un viva vai di amici e parenti. Nessuno ha voglia di parlare, i familiari chiedono solo di sapere la verità su quanto accaduto tre mesi e mezzo fa al confine tra Pakistan e Afghanistan.
“Giovanni ostaggio di serie B? Sono considerazioni di mio padre. Lo Stato con noi è stato sempre presente”. “Obama ho chiesto scusa? Ma a noi non restano che le scuse- Se non c’era – ha aggiunto – il raid con i droni mio fratello, non moriva. Di certo non è una cosa facile che un presidente Usa chieda scusa. Credo sia vero che Renzi non sapesse nulla, anzi ne sono convinto… poi la verità la conoscono loro. Renzi ci ha chiamato, ci ha fatto le condoglianze, così come i presidenti di Camera e Senato, Boldrini e Grasso”.
“Il ricordo di Giancarlo, come lo chiamavamo noi, mi emoziona solo a parlarne”. Ha la voce rotta dalla commozione e gli occhi lucidi Giuseppe Lo Porto, mentre parla del fratello Giovanni, il cooperante sequestrato nel 2012 in Pakistan e rimasto ucciso in un raid americano a gennaio scorso. Nella casa della madre, Giusy Felice, in via Pecori Giraldi, nel quartiere Brancaccio, alla periferia di Palermo, c’è anche il fratello Nino. E anche oggi è stato un via vai di amici di famiglia. Mamma Giusy è affranta, chiusa nel suo dolore, in silenzio.
Giuseppe, invece, parla del fratello col piglio di chi ha la certezza nel cuore che si trattava di ”una persona speciale”. “La sua vita era la cooperazione. Ha girato il mondo, amava viaggiare – racconta il fratello, che ha 41 anni ed è il secondo di cinque figli – lo faceva per lavoro e quando poteva anche per svago. Viaggiare era la sua passione. E’ stato in Sud Africa, in Afghanistan per lavoro”.
“Amava il Pakistan più di ogni altro luogo – dice ancora Giuseppe – . Giancarlo lavorava per una Ong tedesca con contratti annuali, per scelta. Aveva deciso così, questo gli consentiva di stare in un posto per un periodo determinato e continuare a spostarsi. A Palermo tornava ogni 4-5 mesi. Stava qualche giorno e poi ripartiva”.
La Casa Bianca dovrebbe fornire un resoconto dettagliato sul numero di civili uccisi con la campagna anti terrorismo condotta con i droni. E’ l’esortazione del board editoriale del New York Times, che invita l’amministrazione Obama a compiere un passo ulteriore rispetto all’esame dell’incidente in cui hanno perso la vita Warren Weinstein e Giovanni Lo Porto. Ulteriori dettagli sul programma di droni e le morti civili che hanno causato sono “essenziali per un dibattito informato sui meriti del programma e su come è condotto”. Nel dibattito in corso alcuni suggeriscono la creazione di una corte per i droni composta da giudici federali e giudici della Corte d’Appello chiamati a determinare se ci sono motivi e prove sufficienti per il lancio di un attacco con droni che potrebbe uccidere vittime innocenti oltre che ai target identificati.
“Siamo stati informati che il nostro Giancarlo è stato ucciso durante un attacco americano. Siamo devastati dal dolore, senza parole e senza una bara su cui piangere. Non capiamo i come e i perchè della sua morte ma pretendiamo che il governo faccia ora completa chiarezza sulla vicenda”.
Sono le parole di un messaggio scritto dai familiari di Giovanni Lo Porto, letto dalla cognata Giovanna Piazza, davanti al portone del palazzo di via Pecori Giraldi a Palermo dove abita la madre del giovane cooperante rimasto ucciso in un raid americano a gennaio scorso. Con lei anche Daniele Lo Porto, uno dei fratelli di Giovanni, che vive a Pistoia e che da ieri è a Palermo. “Siamo stati rassicurati dalla Farnesina e aspettavamo con fiducia il suo ritorno ed ora si scopre che i fatti erano diversi. Giancarlo poteva e doveva essere liberato. Che fosse in quella zona era chiaro a tutti. E quindi l’uso di droni metteva a rischio la sua vita – continua il messaggio – .La sua morte non è stata un semplice errore la sua salma ci deve essere restituita. Il discorso del ministro Gentiloni davanti a un aula semideserta ha ingigantito nostro dolore”. “Una commemorazione ufficiale – prosegue il messaggio – è un atto dovuto. Ai giornalisti chiediamo di rispettare il nostro dolore e di seguire il lavoro della magistratura e delle istituzioni”.
“Mio figlio non si meritava uno spettacolo del genere”, gli scranni vuoti mentre il ministro Gentiloni riferiva al parlamenti. Lo dice Vito Lo Porto, padre di Giovanni, il cooperante italiano ucciso da un drone americano, in un’intervista in prima pagina sul Fatto Quotidiano. “È come se quei signori avessero detto: ‘A noi non ce ne frega niente. È morto? Pazienza. Ne muoiono tanti’. Mi hanno fatto vergognare di essere italiano”, aggiunge. Al premier dice “non credo che Renzi avrà mai la sensibilità di chiamarmi o venirmi a trovare a Pistoia. Però mi sembra impossibile che lui e Obama non sapessero che mio figlio fosse morto. Sono convinto che ne fossero a conoscenza entrambi e che abbiano deciso di fingere di non sapere, con un tacito accordo. Probabilmente hanno voluto prendere tempo. “I politici – aggiunge parlando della visita di Renzi a Washington – sono anche attori, sanno fare la loro parte. Sorridevano come due fratellini. È una mancanza di rispetto, ma non sono sorpreso”. “Quel che è fatto, è fatto: mio figlio non tornerà indietro. Spero solo che riportino a casa il suo corpo”.