Il riflesso è perfetto. Questo Papa che dice addio al suo balcone con la voce smarrita e piana di un vecchio somiglia al Papa morettiano, icona che ha anticipato un evento di rottura con la storia. Joseph Ratzinger come Michel Piccoli in Habemus Papam. Le stesse motivazioni di sottofondo. L’incedere diverso di chi non può più andare nella direzione indicata, un vecchio appunto sulla vecchia strada. Così si genera un argomento che per alcuni è fuga, per altri il segno di una profonda umiltà.
Siamo comunque a uno snodo. La morte di un pontefice è tremenda, ma, nella casistica delle cose, possibile. L’abbandono volontario del Capo della Chiesa di Cristo scaturisce da qualcosa di diverso. E’ sentimento del tempo, non soltanto nella clessidra che scandisce le ore, dalla necessità della nascita all’immanenza della morte. Il tempo, nella scelta di Benedetto XVI, è un principio in cui si incrociano la volontà di Dio e le azioni dell’uomo, secondo ispirazione divina.
Lo strappo col passato è proprio nel riconoscimento di una voce flebile che dice: io non posso più. Dio diventa una misericordia infinita non un comando ineludibile. Un Papa all’apparenza debole ci ha infine insegnato che il tempo delle scelte è la nostra misura autentica.