Purtroppo, seppure brevemente, siamo costretti dalla cronaca politica a tornare sul tema “Ponte sullo Stretto”. Un’opera che dovrebbe unire l’Italia (non soltanto Sicilia e Calabria) e che intanto, invece, sta provocando divisioni, sebbene di natura non fisica ma prettamente politica. Divisioni tra il governo della Regione Siciliana presieduto da Renato Schifani e quello nazionale di Giorgia Meloni, esecutivi che vantano sulla carta la medesima colorazione politica.
Più precisamente, lo scontro è con il ministro per le Infrastrutture Matteo Salvini che ritiene ragionevole una compartecipazione finanziaria delle regioni Sicilia e Calabria alla costruzione del Ponte ma, attraverso un emendamento voluto da Palazzo Chigi, in una misura superiore a quanto concordato con gli interessati provocando le ire di Schifani.
In questa sede non ci soffermeremo sulle dinamiche, di cui Livesicilia ha dato ampio conto, che hanno portato all’aumento del contributo finanziario regionale, da 1 miliardo a 1,3 miliardi di euro, e all’impatto sugli altri investimenti programmati o da programmare di tale sottrazione di somme, 300 milioni, dal Fondo di sviluppo e coesione. Somme, beninteso, che dovevano sostenere gli investimenti riguardanti i necessari interventi a favore del potenziamento infrastrutturale della Sicilia e adesso dirottati a beneficio del Ponte.
Piuttosto, ci preme ribadire che un’opera colossale come il Ponte sullo Stretto, verso il quale chi scrive non cova alcuna ostilità o pregiudizio, non può non aver bisogno, se deve esprimere un senso compiuto e una vera svolta in campo economico e sociale, di una rete stradale, autostradale e ferroviaria assai moderna ed efficiente, condizione che in atto non è riscontrabile sul territorio nemmeno minimamente, lo sanno perfettamente i siciliani e, in particolare, gli imprenditori. Se togliamo fondi finalizzati all’ammodernamento delle infrastrutture siciliane per dirottarle sul Ponte rischiamo di costruire un’immensa e costosissima cattedrale nel deserto, l’ennesima, utile unicamente a chi ne ha fatto un uso strumentale e propagandistico.