Premio Fava a Biondani: "Non è un Paese per cronisti d'inchiesta" - Live Sicilia

Premio Fava a Biondani: “Non è un Paese per cronisti d’inchiesta”

L'autorevole firma de L'Espresso è il vincitore di questa edizione del premio dedicato al giornalista ucciso dalla mafia.

“Quando ho saputo di avere vinto il premio? Mi sono emozionato moltissimo, ma per davvero. Non sapevo nemmeno di essere tra i candidati. Per me Giuseppe Fava è un mito, è un eroe nazionale“. Paolo Biondani è sinceramente entusiasta e pare ancora un po’ sorpreso. Eppure lui è un giornalista d’inchiesta come li disegnavano una volta, ha cominciato al Corriere della Sera nel 1990 e da allora non ha mai smesso di scrivere. Oggi è una delle firme di punta dell’Espresso ed è uno dei componenti dell’Icij, il consorzio internazionale di giornalismo investigativo che ha aperto, a ottobre 2021, il vaso dei Pandora Papers sui conti offshore di politici, capi di Stato e vip di tutto il mondo. “È una delle esperienze professionali più belle che io abbia fatto: sembra quasi che il giornalismo abbia trovato nell’inchiesta, nella collaborazione e nel lavoro lento e accurato il suo modo di reagire”. Oggi pomeriggio, Biondani avrebbe dovuto ricevere al Piccolo Teatro di Catania il premio Fava: l’appuntamento – rinviato a causa della pandemia, come gli altri eventi in presenza nel giorno dell’anniversario della morte del fondatore dei Siciliani – sarebbe stata un’occasione per parlare di giornalismo. Di quando il giornalismo parla e di quando, invece tace. “Forse tace più spesso quando si parla di potere economico che di potere politico“, comincia Biondani.

Paolo Biondani

“Mi viene da pensare al caso Parmalat“, spiega il cronista. Pochi giorni fa è morto Calisto Tanzi, il patron dell’impero crollato. “I giornali raccontavano la storia di successo, un’azienda che non poteva fallire, rassicuravano, parlavano del latte. E milioni di italiani ci hanno creduto e hanno perso tutto. In tanti casi il giornalismo rinuncia a fare il suo mestiere”. Non necessariamente per scientifica menzogna, ma anche per superficialità. “Perché alcuni, magari, si sono fidati troppo di nomoni ritenuti attendibili e credibili come fonti. In Sicilia ci sono gli autorevoli esempi delle bandiere dell’antimafia, no?”. I casi sono i soliti: Antonello Montante e Silvana Saguto, caduti dal piedistallo altissimo che si erano costruiti e su cui in tanti avevano contribuito a metterli. “Il caso Saguto mi ha impressionato particolarmente – dice Biondani – Poi magari la assolveranno in Appello o in Cassazione, ma non è questo il punto. Il punto è il tradimento della funzione giudiziaria“.

“Io ho cominciato negli anni Novanta al Corriere: io seguivo Mani Pulite, avevo a che fare giornalmente con magistrati del calibro di Borrelli, Colombo, D’Ambrosio, col Davigo dei tempi d’oro… Per fare il mio lavoro dovevo semplicemente scrivere quello che avevano scoperto i magistrati“. Le parti, a quei tempi, erano chiare. E lo sono state per molti anni a venire. “Negli anni Novanta erano in servizio giudici e magistrati di livello altissimo. Da Falcone e Borsellino a, appunto, Borrelli e D’Ambrosio – prosegue Paolo Biondani – Fa impressione che la categoria che ha avuto al suo interno profili di questo tipo stia attraversando, adesso, una crisi così profonda. E però se la magistratura insegue i fantasmi e non acciuffa i delinquenti, allora servono ancora di più i giornalisti. I giornalisti come Giuseppe Fava e i giornali come I Siciliani“.

Cioè quelli che non aspettavano i comunicati delle forze dell’ordine o i sussurri dei magistrati per raccontare cosa si muoveva nel ventre torbido della città. “Il vero giornalismo d’inchiesta scopre cose ignote ai magistrati. E sì, può anche partire dalle carte delle inchieste giudiziarie, ma deve andare oltre”. Fatto non semplice di questi tempi. “Io lavoro per una grande testata e sono fortunato, perché questo non è un Paese per giornalisti d’inchiesta: non solo chi si occupa di casi nazionali e internazionali, ma anche chi sta sui territori, chi fa le cronache locali rischia la pelle. O, più spesso, rischia la casa con le querele, gli avvocati, le richieste di risarcimento danni”. Eppure, in mezzo al mare di notizie false e costruite ad hoc per creare confusione, “è proprio il momento in cui la lezione dei giornalisti come Fava è più urgente“.

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