CATANIA – Ancora una volta Fabio Lanzafame, battezzato dai cronisti il pentito delle scommesse, riesce ad fornire input investigativi sul mondo criminale che gira attorno alle gioco d’azzardo. E questa volta ha permesso alla Dia di Catania di incastrare un nome già noto nel sistema illecito del gambling on-line. Antonio Padovani è la figura centrale dell’operazione Apate scattata questa mattina che vede coinvolti 65 indagati e numerose piattaforme interne.
Padovani, il re delle slot machine
Una delle prime volte che il nome di Antonio Padovani finisce in un’inchiesta giudiziaria è il 2000. L’operazione si chiama Zefiro ed è indagato con elementi di vertice di Cosa nostra, come Turi Santapaola (fratello di Nitto) e il genero Roberto Vacante. Padovani sarebbe stato il monopolista del videogioco della Sicilia Orientale. Quel processo termina con un’assoluzione, ma non certo i guai giudiziari. Padovani è indagato dalle procure di mezza Italia: Catania, Caltanissetta, Napoli. Avrebbe avuto solidi rapporti anche con la famiglia di Caltanissetta di Giuseppe Piddu Madonia. Di lui parlano diversi collaboratori di giustizia, come l’ex reggente di Cosa nostra catanese Santo La Causa, il cambia casacca della mafia Eugenio Sturiale, Carmelo Barbieri. E altri.
Il pentito delle scommesse
Dalle macchinette al gioco on line il passo sarebbe stato breve. Fabio Lanzafame è molto preciso. “Antonio Padovani è uno dei primi che si è affacciato…”, dice ai magistrati. La società Sport&Games sarebbe stata la società da cui avrebbe cominciato la scalata nel gioco d’azzardo clandestino. Padovani, sempre a dire del pentito delle scommesse, avrebbe avuto legami sia con i Santapaola che con i Cappello. “Sapevo perfettamente che era inserito all’interno di un contesto criminale, perché mi venne presentato dal clan Santapaola quindi c’è….più chiaro di così…quando ho avuto purtroppo dei problemi non potevo pagare Padovani, vennero i Cappello a chiedere i soldi”. Per Lanzafame “la rete commerciale” di Padovani avrebbe operato “in collusione con la criminalità organizzata”.
Le intercettazioni
Le rivelazioni del pentito però sono state solo la sorgente dell’inchiesta. Infatti sono le intercettazioni il cuore pulsante delle indagini curate dalla Dia che hanno fotografato gli affari illeciti creati attorno alla figura di Padovani tra il 2018 e il 2019.
Nonostante le molteplici accortezze la Dia di Catania riesce a registrare conversazioni – secondo gli inquirenti – scottanti. Come appuntamenti da notai per firmare alcuni contratti. Per precauzione pero Padovani organizza ma non presenzia.
M: tutto a posto…via Caronda e via Della Concordia, firmato contratto…tutto cose a posto…già li ho portati a Massimo…ci siamo visti…
P: eh…
M: eh…appuntamento alle tre e mezzo dal notaio…entro domani… abbiamo tutte cose pronte….
P: vabbè…ci hai parlato con…Marino …alle tre e mezzo dal notaio?
M: si…già…tutti appuntamento alle tre e mezzo a Piazza Europa…abbiamo…
P: e Sonia…alle tre e mezzo, deve venire in piazza Europa… pure…alle tre e mezzo…? M: si…si…Sonia….Gravino Melinda…e…coso…quel ragazzo Massimo…e ci sono pure io….
P: vabbè…c’è bisogno che vengo io… ? No….
M: no…no…non c’è bisogno…che poi ti aggiorno tutte le cose…
P: va bene...poi ci vediamo più tardi…
Il messaggero di Padovani
Dalle decine e decine di conversazioni riassunte, citate e riportate nelle oltre 500 pagine dell’ordinanza del gip si nota come gli indagati siano molto preoccupati di essere intercettati. Padovani più volte a utilizzare Telegram e non chiamare. Ma se questo non basta il re delle slot machine “per evitare che i suoi collaboratori siano correlatati” a lui “utilizza Salvatore Turiano “quale interfaccia per le comunicazioni all’esterno, designandolo quale “messaggero” e sua “longa manus” nella gestione degli appuntamenti con terzi”.
Le parole dure del gip
Padovani è l’unico degli indagati a finire in carcere. Per il gip l’indagato ha un “profilo oltremodo negativo della sua personalità, derivante dall’importante precedente condanna per trasferimento fraudolento di valori aggravato dalla finalità di agevolazione mafiosa, e dal fatto che gli odierni delitti seguono immediatamente la cessata esecuzione di pene espiate in carcere e di una misura di prevenzione con obbligo di soggiorno. Se ne ricava anche la insensibilità dell’indagato alla funzione di emenda e prevenzione dei comportamenti illeciti insita nelle pene in passato comminate”.
Il lupo perde il pelo ma non il vizio. Un detto che per quanto riguarda Antonio Padovani sembra calzare a pennello.