Albert Einstein: il Luigi Pirandello della fisica? Luigi Pirandello: l’Albert Einstein del teatro? “Per i suoi servizi alla fisica teorica, e in particolare per la sua scoperta della legge dell’effetto fotoelettrico”, recitava la motivazione del Nobel per la Fisica assegnato nel 1921. “Per il suo ardito e ingegnoso rinnovamento dell’arte drammatica e teatrale”, recitava la motivazione del Nobel per la Letteratura assegnato nel 1934. L’agosto dell’anno dopo Pirandello andò negli Stati Uniti, per discutere con le major hollywoodiane l’adattamento delle sue opere. L’ebreo Einstein era esule dal nazismo. Il siciliano Pirandello, che aveva studiato in Germania, aveva firmato il Manifesto degli intellettuali fascisti di Gentile, e in un’accesa conferenza stampa difese le imprese coloniali di Mussolini in Africa. “L’America era un tempo abitata dagli indios e voi l’avete occupata. Se era diritto il vostro, lo è anche il nostro”. Ma il fisico invitò il drammaturgo a Princeton, i due fecero colazione assieme, e Einstein abbracciò l’ospite dicendogli: “Noi siamo fratelli”.
Una foto dei due che strizzano gli occhi davanti al sole abbagliante è pubblicata nel catalogo del “Caso Pirandello”. Più precisamente nel saggio “Pirandello Una mostra, due luoghi” a firma di Paolo Petroni: presidente dell’Istituto di studi pirandelliani e sul teatro contemporaneo. Ma i ricordi del viaggio in America e dell’abbraccio con Einstein fanno parte anche del ricco bagaglio di aneddoti pirandelliani di cui è custode Ezio Donato: regista, attore teatrale e professore universitario di Catania, ma nato a Caltagirone. “Figlio di un capostazione delle ferrovie e di una farmacista, i miei acconsentirono a che frequentassi la Scuola d’arte drammatica solo al patto che contemporaneamente prendessi anche la laurea in Filosofia”, racconta. “Da attore, il professore con cui avevo fatto la tesi sulle radici teatrali di Pinocchio mi volle come assistente, e che facessi il concorso. Da professore, Pippo Baudo come direttore dello Stabile di Catania volle che continuassi a occuparmi di teatro, soprattutto quello per i ragazzi, e a insegnare nella scuola di recitazione della quale divenni poi direttore”. Classe 1947, Donato da attor giovane fece in tempo a conoscere una quantità di persone che con Pirandello avevano lavorato e lo avevano conosciuto da vicino. “A partire da Paola Borboni, che era allora ultrasettantenne ma ancora aveva la passione per i ragazzi. Io avevo vent’anni, e tutte le sere mezz’ora prima dello spettacolo, ‘La vita che ti diedi’ di Pirandello, la Borboni desiderava che le facessi una visita nel suo camerino. Una specie di rituale. Lì, regolarmente mi faceva vedere le foto di lei nuda in un suo spettacolo, ‘Alga marina’, degli anni Venti. Ma soprattutto mi parlava di quando nel 1921 avrebbe dovuto essere la Figliastra nei ‘Sei personaggi in cerca d’autore’, e invece poi Pirandello le aveva preferito Marta Abba”.
Furono quei “Sei personaggi in cerca di autore” l’opera che scioccò il pubblico. “Lo fischiarono e gli gridarono ‘pazzo!’, gli lanciarono le monetine, costringendolo a scappare dalla porta di servizio del Valle”, ci ricorda Donato. Ma era stato il “Così è (se vi pare)”, come spiega Petroni nel Catalogo, “il primo suo testo teatrale importante e insieme manifesto iniziale, moderno e spiazzante per lo spettatore di allora, nonostante il contesto – un salotto borghese in un paese di provincia – fosse quello tradizionale, realistico. Ma è proprio questo contrasto che porta allo scontro tra forma e contenuto, così che uno amplifichi e faccia deflagrare l’altro”. Fu rappresentata per la prima volta il 18 giugno 1917, dieci giorni prima che l’autore compisse cinquant’anni. Dunque, questo 2017 è un anniversario tondo doppio: 150 anni dalla nascita fisica; cent’anni dalla nascita come drammaturgo. Appunto per celebrarlo a Roma è stata organizzata questa doppia mostra “Il caso Pirandello”. Dal 23 novembre al 14 gennaio, curata da Petroni e da Claudio Strinati e promossa dall’Istituto di studi pirandelliani con il sostegno del ministero dei Beni e delle attività culturali e del turismo, in due differenti locazioni: il Teatro di Villa Torlonia e la Casa Museo dello scrittore nella adiacente via Antonio Bosio, rimasta intatta dopo la morte. Esposti arredi, oggetti personali, la divisa di Accademico d’Italia, l’originale del diploma del premio Nobel, i manoscritti, la biblioteca. Curioso è il tavolinetto per la macchina da scrivere che costringeva a stare appollaiati su un minuscolo sgabello: uso dell’epoca, come ci mostra la foto di Pirandello dell’8 novembre del 1934, giorno dell’assegnazione del Nobel. E’ infatti letteralmente proiettato sulla tastiera dal cuscino in cui sta seduto, mentre esasperato dai giornalisti che lo assediano batte ripetutamente sulla pagina: “Pagliacciate! Pagliacciate! Pagliacciate!”.
Sui muri, intanto, un’installazione multimediale rievoca in modo fantasmatico l’ossessione del drammaturgo per i suoi personaggi. “Fantasmi” si intitolava pure uno spettacolo che Donato mise in scena nel 2000. “Il titolo era rubato a quello originario dei ‘Sei Personaggi’, ma noi l’abbiamo giocato appunto sulle realtà fantasmatiche di Pirandello, che era un tipo abbastanza strano. In quella occasione il nipote di Pirandello, Pierluigi, mi aveva regalato il testamento olografo dell’illustre zio. Lo feci riprodurre con una grande gigantografia alle spalle di Leo Gullotta, che interpretava un Pirandello morto a ragionare sulla sua vita e a cercare di strappare, come se fosse pentito, questo enorme testamento in cui praticamente ripudiava la figlia Lietta e lasciava tutto a Marta Abba”. Al Teatro di Villa Torlonia si ricordano invece quegli allestimenti con cui negli anni 60 e 70 la Compagnia dei giovani di Giorgio De Lullo, Romolo Valli, Rossella Falk e Elsa Albani propose per la prima volta una lettura filologica e moderna del suo teatro: foto, bozzetti, oggetti di scena, una decina di costumi. Ma, reperiti da varie case private, sono per la prima volta esposti tutti assieme anche dodici suoi quadri. Un paio di paesaggi, due scorci del paesino ciociaro di Anticoli Corrado, un ritratto della figlia Lietta seduta, una casa di campagna con due pagliai, una spiaggia vicino a Viareggio, una villa pure ad Anticoli Corrado, un gruppo di alberi… Padre di quel Fausto Pirandello che fu uno dei grandi pittori della scuola romana e di cui sono parte della mostra alcuni ritratti famigliari, Luigi aveva anche questo hobby. “La pittura passione di famiglia” è il titolo del saggio che compare sul catalogo a firma di Claudio Strinati, e che sul versante biografico è completato dall’altra scheda di Lucia Torsello e Dina Saponaro, “Una storia familiare”. Strinati parla di “mano notevole e una proprietà di disegno e espressione degne di un pittore professionista, di una cordialità silenziosa e dolce”. “Sarebbe assai interessante giudicare queste opere senza sapere che l’autore è Luigi Pirandello. Saputolo, si resterebbe stupiti? Probabilmente sì e forse si potrebbe mettere in luce quella specie di procedura di cancellazione, un dato che può facilmente essere collegato alla teoresi profonda del pensiero pirandelliano, dove trapela il tema della maschera e del volto, della verità che condiziona ogni cosa”.
Oltre che con la pittura, i “fantasmi” di Pirandello hanno a che vedere anche con la nuova arte del cinema, cui dedicò il romanzo “Quaderni di Serafino Gubbio operatore”. Nel pacchetto è stata messa anche una rassegna di film pirandelliani e una tavola rotonda preceduta appunto dalla lettura di brani dai “Quaderni”. Come ci racconta Donato, di cinema Pirandello addirittura morì, nel prendere una polmonite mentre a Cinecittà assiteva alle riprese del film tratto dal romanzo “Il fu Mattia Pascal” per la regia di Pierre Chenal. “La scambiarono per una banale influenza, e allora non c’erano gli antibiotici”.
Pur trapiantato a Roma, Pirandello era però siciliano, di Agrigento. Anche se, ci ricorda Donato, il padre, un ex garibaldino commerciante e proprietario di una miniera di zolfo, discendeva in realtà da un capitano di lungo corso genovese, stabilitosi nell’isola per affari nel ’700. Sempre per ricordare questi anniversari pirandelliani lo stesso Donato ha preparato una piccola raccolta di aneddoti, appresi da chi il Nobel lo aveva conosciuto di persona, per una relazione che dovrà introdurre il 13 gennaio prossimo uno spettacolo su Pirandello con Sebastiano Lo Monaco al teatro Donnafugata di Ragusa Ibla. Da questa antologia ha tratto per il Foglio questi assaggi che ci sta esponendo. A partire, appunto, dall’abbraccio di Princeton. “Pirandello è stato lo Shakespeare del XX secolo. Aveva fatto in teatro quel che Einstein aveva fatto per la fisica, e Einstein gli aveva detto: ‘Siamo fratelli perché ci occupiamo delle stesse cose’. Nelle foto i due sembrano quasi fiutarsi, come quegli animali che non si conoscono, ma poi d’istinto riscoprono una fondamentale affinità”.
“Fin dal principio mi sembrò intuitivamente chiaro che, dal punto di vista di un tale ipotetico osservatore, tutto debba accadere secondo le stesse leggi che valgono per un osservatore fermo rispetto alla Terra. Altrimenti, come farebbe il primo osservatore a sapere, cioè come potrebbe stabilire, di essere in uno stato di rapidissimo moto uniforme?”, era il modo in cui Einstein spiegava il modo in cui era arrivato alla Teoria della relatività. Ma “Così è (se vi pare)” non è un altro modo di dire la stessa cosa? La prima avvenne in un momento per Pirandello difficilissimo: con la prigionia in Austria del figlio da cui il definitivo precipitare in pazzia dei problemi mentali che la moglie aveva iniziato ad avere a partire dal fallimento della miniera di zolfo della famiglia.
Ma non c’è solo “Così è (se vi pare)” come metafora della Relatività. “Uno, nessuno e centomila”, “Come tu mi vuoi”, “Il giuoco delle parti”, “La ragione degli altri”, oltre a “Sei personaggi in cerca di autore”, sono appunto altri famosi titoli pirandelliani. “Il fu Mattia Pascal”, scritto durante le notti di veglia per assistere la moglie all’inizio della sua malattia mentale, parla di un uomo che cerca di rifarsi la vita impersonando la propria morte. Nell’“Enrico IV” il protagonista preferisce la certezza delle vicende già svoltesi nel passato – per quanto dolorose – all’incertezza del presente e del futuro. “Il Nobel probabilmente se lo sarebbe già meritato per i romanzi e le novelle”, è l’opinione di Donato. “Ma certo è stata la sua rivoluzione teatrale che ha cambiato tutto. Il teatro nel teatro, rompere la quarta parete…”.
Pirandello, osserva ancora Donato, “era un tipo strano, ma molte cose le prendeva semplicemente da quel che vedeva. Prendiamo ‘Effetti di un sogno interrotto’: l’ultima sua novella, pubblicata sul Corriere della Sera il 9 dicembre 1936. Il giorno prima di morire. Parla di un tizio che ha in casa il quadro seicentesco di una Maddalena penitente, con un seno di fuori. Lo visita un antiquario suo amico, che riconosce nella donna del quadro la moglie appena morta di un suo amico. Chiamano il vedovo, questo è sconvolto. Vuole comprare il quadro perché non sopporta che l’altro veda sua moglie seminuda, si dispera, ma il proprietario non cede. La notte però un rumore lo sveglia, e lui vede che Maddalena è scesa dal quadro per fare l’amore col marito, in pigiama. Il giorno dopo, di primo mattino, si fa accompagnare dall’antuquario nell’hotel che ospita il vedovo, per dargli il quadro gratis. E non appena lo scorge, ancora con lo stesso pigiama con cui lo ha visto sul suo divano, lo assale dicendo ‘lei viene la notte a fare l’amore a casa mia con sua moglie che esce dal quadro e lo abbraccia sul divano’. ‘Allucinazioni, signori miei, allucinazioni’, è il commento finale”.
Una storia inquietante. “Sì, ma il fatto è che quel quadro esiste sul serio. Ce l’ho in casa mia!”. Come !? “E’ proprio il quadro descritto. Maddalena con un seno scoperto e un teschio, che mia madre tra l’altro quando ero ragazzino non voleva che guardassi a lungo perché troppo osé. Mia madre è del 1913, e lo aveva ricevuto da mia nonna. Caltagirone era una zona che Pirandello frequentava: probabilmente lo aveva visto e gli era rimasto in mente. Comunque quando ho fatto un adattamento teatrale di quella novella ho usato proprio quel quadro”.
Insomma, Pirandello viveva cose pirandelliane. “In alcuni suoi appunti, ripresi nel 1932 da Vittore Nardelli nella biografia ‘Pirandello l’uomo segreto’, che lo scrittore agrigentino aveva autorizzato, raccontò della prima volta in cui vide un rapporto sessuale: in una camera mortuaria! Incuriosito dalla morte, lui da ragazzino andava nelle camere mortuarie a osservare i cadaveri in attesa di sepoltura. Una volta vi scoprì due amanti che vi si erano appartati pensando che lì nessuno li avrebbe disturbati. Il morto era un suicida. Gli amanti facevano l’amore in piedi, e lui scrisse di ricordare ancora il rumore che faceva la sottogonna di lei. Sa, gli abiti femminili ottocenteschi, con quella crinolina rigida che a sollevarla produceva un certo fruscìo…”.