Il tango di Paulo e Franco| E il popolo rosa ritrova la fede - Live Sicilia

Il tango di Paulo e Franco| E il popolo rosa ritrova la fede

Dybala trova in Vasquez il "fratello gemello di un calcio che sa di poesia". E dagli spalti il pubblico, sempre più numerosa, può intonare: "Torneremo, torneremo in serie A". Bellissimo il finale: Iachini saluta anche i tifosi avversari, che lo applaudono.

Il processo ai rosanero
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PALERMO – Stavolta comincio dalla fine perché viene naturale fare così, quando la fine è la parte più bella della storia: udito il triplice fischio dell’arbitro, signor Mariani di Aprilia, tutti i giocatori, rosanero e “rondinelle” bresciane, si scambiano calorosi saluti, come fossero tutti amici, mentre fino a pochi istanti prima erano capaci anche di azzannarsi. Poi i giocatori del Palermo corrono, tutti legati per mano, verso la curva Nord.

Li insegue a fatica, ma senza staccarsi di un metro, il loro allenatore: Iachini fa sempre così, dopo ogni partita, comunque finisca, va a salutare (e ringraziare) i tifosi della curva e – ne sono sicuro – così facendo, lui vuol salutare tutto lo stadio per il sostegno ricevuto dalla sua squadra. E aspetta che i suoi giocatori ad uno ad uno si girino di spalle per avviarsi verso gli spogliatoi, per restare qualche attimo da solo, a braccia levate, come per dire, lui da solo, un “Grazie” grande grande a tutti i suoi tifosi. Che stavolta sono quasi tremila di più dell’ultima partita, quella contro il Bari; sono quasi diecimila, sono il segno che il “popolo rosanero” va ritrovando la sua fede calcistica, va riscoprendo, dopo lunghi mesi di gelo, la passione verace, quella che è spontaneo definire come ”il dodicesimo uomo in campo”.

Iachini fa qualche passo a ritroso, sempre a braccia levate e occhi puntati verso la sua curva, poi si gira e si avvia, spedito, verso gli spogliatoi ma, giunto a metà strada, si blocca, dà una rapida occhiata verso la “gabbia”, dove sono raccolti i circa cento tifosi bresciani, si fa sotto quello spicchio di gradinata e, agitando le braccia, li saluta calorosamente, ricevendo, in cambio, un lungo applauso. L’unico applauso di quel mesto manipolo, abbacchiato per l’andamento e ancor di più per l’esito della partita giocata dai propri beniamini. Sono pochi ma quell’applauso si sente dappertutto, malgrado il fragore della festa che tutto lo stadio sta facendo al Palermo. Un mesto viaggio di ritorno li aspetta e io, che nella mia militanza di tifoso (cronista) rosanero ne ho fatti tanti, finiti anche peggio, posso capirli ed ho, infatti, un pensiero affettuoso per loro. Per tutti loro, venuti da tanto lontano, “Solo per la maglia”, come recita il solo striscione esposto, nel silenzio generale, che è un silenzio di muta, civile protesta per la crisi nella quale si è invischiata la loro squadra.

Di contro, il tifo rosanero si vede e si sente subito: si vede perché, come detto, sono di più delle ultime volte; si sente perché i cori sono incessanti e caldi e generosi come ai tempi belli. Quello più ripetuto è: “Torneremo… Torneremo … Torneremo in se rie A”, senza voler contare il solito: “Chi non salta catanese…è”, che non manca mai. E fanno bella mostra di sé, sempre in curva Nord, due striscioni, uno nella inferiore (“Orgoglio terrone” e uno, lungo quasi quanto tutta la curva, nella superiore: “La storia non finirà, la curva lotterà, noi sempre qua a sostenere la nostra città”).

Insomma, sin dall’inizio si intuisce che sarà un sabato bellissimo, di quelli ai quali il famoso “Sabato del villaggio” leopardiano, con tutto il rispetto ( e credetemi se vi dico che il mio è infinito) è… nienti ‘mmiscatu cu nuddu”. C’è trepidazione in ogni angolo di stadio ed è merito anche del bravo Minutella, che lassù, nella sua isolatissima, acusticamente parlando, cabina di regia, innesca con tempestivi interventi acustici (musicali e non) i focosi pruriti dei tifosi: “Adesso, la curva Nord: tutti insieme un grande applauso ai nostri giocatori”. Oppure: “E ora voi della Sud, fate vedere che non siete da meno”). E il bello è che gli spalti sono con lui, come se si trattasse di un’orchestra che segue a puntino gli input del suo direttore.

Il meglio, com’è naturale, succede all’ingresso in campo delle squadre e, soprattutto, quando lui legge le formazioni, nome dopo nome con consumata lentezza e il pubblico scandisce, ad uno ad uno, i cognomi dei giocatori. Emozionante, anche perché io dico e confermo che tutto questo non produce effetti benefici solo sui tifosi ma anche, se non raddoppiato, sui giocatori. Che, infatti, partono subito all’arrembaggio, come fecero cinque giorni fa a Castellammare di Stabia e subito c’è una grande occasione per Barreto, che arriva scoordinato sotto la porta di Cragno ma calcia oltre la traversa. Il pubblico è un corpo solo, una sola anima, in tutto e per tutto dedita al suo unico scopo: quello di spingere la squadra verso la vittoria.

Dal 14’ in poi è una sequenza ininterrotta di assalti veementi verso la porta bresciana: prima Dybala, che dopo irresistibile slalom, si avvia solo verso l’area piccola ma prima di giungervi viene falciato da tergo da Coletti: giallo per lui, ed è il minimo che gli spetta. Poi è la volta di Barreto, versione trequartista di genio, che lancia in profondità (qualcosa come trenta metri!) sulla destra, dove si invola Stevanovic, che scatta, dribbla e crossa. E chi pesca il suo traversone? Barreto, nel frattempo smarcatosi sulla sinistra, come sanno fare solo i campioni. Takle con un avversario disperato e palla in corner. Peccato, ma l’”odore” del gol si fa sempre più intenso e così al 18’ il gol arriva. Ed è la conferma che se in campo, specie dalla metà in su, giostrano giocatori dai piedi sapienti e raffinati, non solo nasce il cosiddetto “bel gioco” ma si vincono le partite.

Nell’ennesima sgroppata, tutta curve finte e contro finte, del piccolo Dybala c’è il timbro della classe: Paulo, infatti, corona l’assolo con un cross ad altezza d’uomo forte e tranciante, sul quale si proietta Vasquez – il suo fratello gemello di un calcio che sa di poesia – che sfiora di testa e mette nell’angolino. Là dove, anche volendo, Cragno non può arrivare. Ma lui nemmeno ci prova perché resta di pietra, quasi folgorato da tanta implacabile destrezza. 1-0 per il Palermo e stadio tutto in piedi, compresa la compassata tribuna stampa, ad applaudire i due artisti argentini. Che si ripetono dopo la prova offerta al “Menti” lunedì scorso.

Ma la storia di un Palermo che ha finalmente trovato il “bel gioco” è appena all’inizio, perché nella ripresa è un autentico “juocu i fuocu” che si abbatte sulle povere “rondinelle” bresciane. Al 7’ Vasquez restituisce la cortesia al suo fratello siamese, gli fa recapitare col suo sinistro magico un autentico cioccolatino: “Va’ signa!”, pare dirgli nel suo nuovo dialetto. E quello, caracollando alla sua maniera, spedisce un diagonale imprendibile alla sinistra del povero Cragno, disperatamente lanciato in tuffo. 2-0 per il Palermo e partita chiusa? Quando mai, se in panchina c’è uno come Iachini che suole dire: la partita finisce solo quando l’arbitro emette il triplice fischio. Mai prima!”. Infatti falliscono tre gol già fatti prima Barreto (alto sulla traversa, su assist di Vasquez), poi Stevanovic, che non arriva d’un soffio su un cross al bacio di Dybala e infine Vasquez, lanciato da Lafferty, subentrato al 71’ a Dybala, sommerso da un oceano di applausi, cui lui risponde mandando bacini in giro per tutto lo stadio. E nel frattempo, si guadagna la pagnotta anche Sorrentino che sventa prima su Valotti e poi su Coletti, da punizione dal limite.

E finiamo in bellezza con un siparietto niente male: entra per il Brescia un certo Ntow e un collega, nei miei paraggi, (si) chiede: “ E chistu cu è? E’ africanu”. E, di rimando, una voce: “Ma qual’africanu: è ri Ficarazzi, pi chistu è anticchia cchiù scuru!”. Prosit.

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