Il tè delle cinque nella villa | delle meraviglie FOTO - Live Sicilia

Il tè delle cinque nella villa | delle meraviglie FOTO

"courtesy Fondazione Whitaker"

Viaggio in una delle più belle ville di Palermo.

Tesori nascosti
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6 min di lettura

Personalità volitiva e determinata, Delia Whitaker aveva conservato intatte le tradizioni inglesi di famiglia, come il rito del tè alle cinque del pomeriggio, al quale invitava personaggi appartenenti alla colonia anglo-sassone di Palermo, le celebrazioni in onore del compleanno della Regina d’Inghilterra, le attività di assistenza ai meno abbienti e la gestione della Chiesa Anglicana di via Roma. In pubblico portava sempre i guanti, anche in estate, e raramente permetteva ai suoi ospiti di salire al primo piano della bellissima Villa Malfitano, divenuta sede della Fondazione intitolata al nome di suo padre, Joseph. Nel 1971, in punto di morte, Delia Whitaker istituì la fondazione culturale che oggi continua, come da statuto, l’attività di promozione e di “incremento della cultura, della istruzione e la divulgazione dei valori artistici nelle varie espressioni”; “in generale, lo studio e la conoscenza della civiltà fenicio-punica nel Mediterraneo”. Fin d’allora è obiettivo dell’ente promuovere scavi archeologici, pubblicazioni, una biblioteca specializzata, oltre allo studio e la conoscenza dell’isola di Mozia, proprietà della Fondazione.

Immersa in un bellissimo giardino di circa sette ettari (nel piano detto degli Amalfitani, da cui Villa Malfitano), aperto al pubblico, questa villa in stile neoclassico cinquecentesco venne costruita a partire dal 1886 da Joseph Whitaker junior, detto Pip, ultimo erede di una famiglia di mercanti. Questi giunsero in Sicilia dalla “perfida Albione” al seguito di Benjamin Ingham, prozio di Pip, quando le vicende politiche e militari delle guerre contro la Francia, rivoluzionaria e napoleonica, costrinsero i commercianti britannici ad abbandonare buona parte d’Europa già prima del Blocco Continentale.

La villa (per informazioni apertura al pubblico: www.fondazionewhitaker.it), costruita dall’architetto palermitano Ignazio Greco d’Onofrio, su modello di Villa Favard, a Firenze è stata uno dei luoghi centrali della belle époque palermitana ed internazionale. Tina Scalia, moglie di Pip, era una delle gran dame di Palermo, che insieme a Donna Franca Florio, hanno ospitato l’élite sociale fin de siècle. Tina, dama di corte di Margherita di Savoia, si sedeva al suo pregiato pianoforte Érard (ancora visibile nella Sala d’Estate) e, con voce da soprano, cantava alla presenza di Richard Wagner in visita a Palermo nel 1881, per la famiglia del re d’Italia nel 1891 o per quella del kaiser Guglielmo II, a Palermo nel 1896. Lo zar Nicola II inviò perfino una slitta tardo settecentesca, esposta al primo piano, per ringraziare dell’ospitalità ricevuta.

Alla decorazione della villa hanno partecipano i più famosi artigiani e artisti locali del tempo, da Rocco Lentini a Mario Rutelli, autore del leone reggiscudo (1890) ai piedi della grande scala, con il motto di famiglia: “spes et fides”. Molti degli oggetti sono stati comprati in coppia, la leggenda vuole per le due figlie di Pip e Tina: Delia e Norina. Le due rampolle sono ritratte da bambine in un pastello di Ettore de Maria Bergler situato sullo scalone a spirale. All’età del debutto in società, le ritroviamo in un quadro di Arnold Mountfort (divenuto successivamente ritrattista delle dive di Hollywood) su un cavalletto nella sala da pranzo, decorata da una boiserie di legno disegnata dallo scultore palermitano Salvatore Valenti. Nella galleria-corridoio, che corre per tutta la lunghezza della villa ed è decorata con affreschi in stile neo-pompeiano, sono esposte la maggior parte delle opere d’arte, tra le quali spicca una coppia di elefanti in cloisonné di smalto, provenienti dal palazzo imperiale di Pechino e acquistati da Christie’s. Davanti ad essi altri oggetti esotici: due gru porta-lanterna con le lunghe zampe appoggiate sul dorso di tartarughe, provenienti dai magazzini Liberty di Londra, che rappresentano i quattro elementi alchemici (acqua, aria, terra, fuoco). La quadreria continua con sei vedute ad olio di Francesco Lo Jacono, tra cui Safari in Tunisia, in ricordo di uno dei tanti viaggi di Pip in Nord Africa per verificare, ufficialmente, la possibilità di realizzare tonnare sulla costa, ma in realtà alla ricerca di uccelli esotici da lui studiati, raccolti e classificati nel suo libro, Birds of Tunisia. Purtroppo la sua collezione ornitologica, che contava più di 3.000 esemplari, allestita in un padiglione apposito nel giardino della villa, è andata dispersa fra tre diversi musei inglesi. Tra i capolavori conservati nella villa, di grande pregio è una serie di cinque arazzi di manifattura di Bruxelles, realizzati nel Cinquecento, su cartoni fiamminghi, tratti da Perin del Vaga con le storie di Enea commissionate, dall’Ammiraglio genovese Andrea Doria.

Al primo piano della villa, la biblioteca ricca di migliaia di volumi e gli appartamenti privati di Delia, dove si trovano gli oggetti più personali, come il ritratto dell’adorato meticcio Tuffytoo, realizzato dalla pittrice giapponese Kiyohara Otama, trasferita a Palermo e conosciuta con il nome di Eleonora Ragusa. La lapide dedicata alla bestiola, seppellita tra le magnolie del parco, si trova accanto a quella che ricorda il grande Emilio Kunzmann, curatore del giardino che, al momento del suo massimo splendore, ospitava 250 specie, tropicali e sub tropicali e rarità botaniche provenienti da Sumatra, Australia e Sud America. La peculiarità di Villa Whitaker è introdurre a fine Ottocento quel “culto per il giardino”, che si svilupperà nello stile floreale tipico del liberty, in un’originale combinazione tra villa suburbana e palazzetto cittadino. Gioiello di Villa Whitaker è la decorazione che Ettore Maria Bergler ha realizzato per la Sala d’Estate, tra il 1887 e il 1889: un gazebo in ghisa dipinto in trompe l’oeil che copre l’intera superficie della stanza e che la trasforma in una veranda circondata da una fresca vegetazione pittorica, in dialogo simbiotico con il giardino al quale si accede direttamente dallo scalone della sala. Qui Tina intratteneva gli ospiti al pianoforte, mentre ai due lati si aprivano il fumoir per gli uomini e la sala per la toletta delle signore, accanto al salottino “barocchetto”, dove sono situati un clavicembalo settecentesco e le collezione di porcellane italiane (Capodimonte) ed Europee (Wedgwood, Meissen e Sèvres). Tra queste anche il gruppo scultoreo in porcellana del Ratto di Proserpina, realizzato a Palermo nei primi dell’Ottocento dall’ opificio artistico di avanguardia del Barone di Malvica.

Non meno affascinante della casa-museo è il grande parco diviso in due sezioni: l’una geometrica all’italiana e l’altra romantica all’inglese. Oasi al centro di Palermo, il giardino è un arboreto d’interesse scientifico, considerato tra gli esperti come il secondo orto botanico della città. Ideale prolungamento della passione per il collezionismo, che si manifesta negli oggetti raccolti all’interno della villa, il “garden”, concepito come “stanza all’aperto”, sposta all’esterno gli stessi criteri di tematici, qui applicati alle piante. Tra gli esemplari, alcuni dei quali oggi hanno raggiunto dimensioni monumentali, un maestoso Ficus magnolioides, una rara Araucaria miei – originaria della Nuova Caledonia – una notevole Yucca australis, agavacea, originaria del Messico che, insieme ad altre presenti a Palermo, documenta, l’introduzione di questa specie nel continente europeo. Preziosa è anche la Butia yatai, di origine argentina, che si ammira fra le palme lungo il viale d’accesso che da via Dante conduce alla palazzina. Grazie ad una convenzione con il Comune di Palermo, oggi il parco è aperto al pubblico gratuitamente.

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