CATANIA – Quella siciliana è una mafia in mutamento. La morte di Totò Riina ha rappresentato a livello storico (o anche solo simbolico) uno spartiacque nella storia di Cosa nostra siciliana, e anche Catania – seppur in maniera minore rispetto a Palermo – sta accusando effetti e riflessi negli assetti organizzativi e criminali. La relazione della Direzione Investigativa Antimafia, che analizza l’ultimo semestre 2017, permette di stilare una lucida fotografia di quello che è oggi la mafia a Catania: la sua capacità di infiltrarsi nel tessuto economico e il suo peso specifico anche nella sfera sociale di un territorio. Per la Dia intanto il crimine organizzato riesce ad inserirsi nei sistemi istituzionali e di potere grazie alla collusione di pubblici funzionari. La Direzione Investigativa Antimafia parla di una “mafia di recente impostazione che tende ad evitare il ricorso a minacce o intimidazioni privilegiando invece la ricetta di patti basati sulla reciproca convenienza. Le risultanze delle attività investigative concluse nel semestre confermano, infatti, come l’inserimento delle consorterie nel tessuto socio-economico del territorio e delle Amministrazione pubbliche, venga perpetrato anche grazie alla compiacenza di pubblici funzionari, spesso attraverso disinvolte procedure di affidamento di servizi”.
Si pensi ad esempio all’operazione Gorgoni della Dia che ha portato alla luce il forte interesse di aziende legate a clan mafiosi catanesi (Cappello e Laudani in questo caso) negli appalti dei rifiuti di alcuni comuni etnei. Un’indagine che ha portato il comune di Trecastagni allo scioglimento per mafia. Cosa nostra catanese cerca “sodali” nel mondo degli affari e del potere. “La ricerca – scrive la Dia – si estende in tutte le direzioni: dal mondo dei funzionari pubblici e dei rappresentanti delle Amministrazioni, a quelle degli imprenditori e dei professionisti. La rete di collaborazioni offerta da un così variegato ventaglio di personalità rappresenta quell’area grigia, quella sorta di terzo livello indispensabile per la realizzazione di affari più articolati e finanziariamente sofisticati”.
Il metodo “brevettato” da Nitto Santapaola, insomma, che andava a braccetto con uomini delle Istituzioni sembra aver preso il sopravvento alla mafia violenta. Ma è solo apparenza, perché “accanto a questa nuova mafia, cosiddetta imprenditoriale – scrive la Dia – continua ad esistere quella tradizionalmente dedita a forme pressanti e violente di controllo del territorio. L’estorsione rimante una delle attività illecite delle consorterie mafiose. E non di rado, l’estorsione risulta precedere attività usuraie, subdolamente finalizzate all’acquisizione di imprese ed esercizi commerciali”. E poi c’è il narcotraffico, che permane “tra le principali voci attive del bilancio mafioso” dei clan etnei. Stabili i rapporti con i fornitori albanesi, l’operazione della Guardia di Finanza “Rosa dei Venti” sul traffico internazionale di marijuana tra Catania e l’Albania ha provocato anche scossoni politici a Tirana.
La Dia non può tralasciare le ripercussioni sociali dello spaccio controllato dai clan. “Da rilevare – scrive la Direzione Investigativa Antimafia – come tra la manovalanza utilizzata dalle consorterie per il confezionamento e le attività di consegna dello stupefacente siano stati impiegati in taluni casi giovanissimi minorenni: un coinvolgimento che appare sintomatico di una più generale situazione di degrado culturale, ove il disvalore dell’atto illecito non solo non viene percepito, ma diventa, addirittura, passaggio necessario per il raggiungimento della maturità criminale”. Le inchieste della Dda di Catania Km 0 e Doks hanno ben messo in evidenza come molti ragazzini siano attivi nelle piazze di spaccio di Librino, San Giorgio e San Giovanni Galermo.
Ma entriamo nel cuore degli assetti mafiosi catanesi. I clan che operano in città e provincia sono le famiglie di Cosa nostra, Santapaola-Ercolano e Mazzei e La Rocca (prettamente a Caltagirone). Accanto a queste operano i Cappello-Bonaccorsi e i Laudani. Non ci sono lotte particolarmente accese, si continua ad operare con la ormai classica strategia “dell’inabissamento” adottata dai clan nell’ultimo decennio per agire nell’ombra e poter evitare pesanti perdite con blitz e inchieste. Si opera in “cooperazione” tra più gruppi criminali, come è emerso nella maxi operazione Chaos della Dda di Catania “che ha fatto luce sulle sinergie affaristico-criminali tra le famiglie Santapaola-Ercolano, Mazzei e Nardo di Lentini”. Anche se in verità da quella indagine erano emerse frizioni sfociate in tentati omicidi. Frizioni poi risolte dall’intervento del boss Antonio Tomaselli.
Non mancano però le teste calde tra i vari clan. “Non sono mancati infatti atti intimidatori nei confronti di uomini con ruoli pubblici al fine di ingenerare un clima di tensione”. Il 2 dicembre 2017 a Misterbianco è stato dato alle fiamme uno pneumatico nelle vicinanze dell’abitazione del comandante della Polizia Municipale. Il 6 agosto, invece, a Motta Sant’Anastasia è stata data alle fiamme l’autovettura di un impiegato e rappresentante sindacale in una ditta di raccolta rifiuti che opera a Misterbianco.
Quindi è necessario mai adagiarsi sul fatto che la mafia pare abbia scelto la strategia del “basso profilo”, perché è sempre insito nei mafiosi l’uso della violenza. E deve fare anche riflettere l’imponente capacità di fuoco che hanno le famiglie mafiose catanese, prova ne sono gli innumerevoli sequestri di armi e arsenali da parte degli investigatori catanesi.
Non c’è settore dove la mafia non voglia infiltrarsi a Catania: edilizia, appalti, trasporti, grande distribuzione, agroalimentare, ristorazione, scommesse clandestine, energie rinnovabili. Anche se i rifiuti, come già evidenziato, è uno dei comparti che attira maggiormente i clan. E poi torna inesorabile il fenomeno del “caro estinto”: l’aberrante fotografia emersa dall’inchiesta delle “ambulanze della morte” (che coinvolge le famiglie mafiose di Biancavilla e Adrano, Mazzaglia e Santangelo) fa capire come i boss anche per pochi spiccioli da mettersi in tasca non hanno nemmeno rispetto della vita umana. Uomini senza dignità, oltre che criminali.
È la droga il collante tra la mafia catanese e la ‘ndrangheta. Innumerevoli infatti sono – come evidenzia la relazione della Dia – gli arresti di corrieri tra Messina e il casello autostradale di San Gregorio. Si tratta o di corrieri calabresi o di catanesi ingaggiati per il trasporto di stupefacente, soprattutto cocaina. Non dimentichiamoci che le ‘ndrine sono tra i principali importatori di polvere bianca in Europa. E che il porto di Gioia Tauro è il varco per tutto Europa della cocaina proveniente dai cartelli del narcotraffico sudamericani. Lo scorso ottobre l’inchiesta Double Track della Squadra Mobile di Catania ha documentato i “rapporti economici” tra un gruppo di spaccio di San Cristoforo, diretto da Sebastiano Sardo, detto Occhiolino, oggi diventato collaboratore di giustizia, (secondo gli inquirenti legato al clan Cappello-Bonaccorsi) e gli esponenti dei Cacciola di Rosarno (Reggio Calabria). Ma la “sinergia criminale” tra Cosa nostra e ‘ndrangheta non si ferma alla droga. La maxi operazione Beta della Dda di Messina che ha portato in manette diversi esponenti del clan Santapaola, che ha creato nel capoluogo peloritano una cellula di cosa nostra catanese specializzata in “finanza” e “imprenditoria”, ha cristallizzato una precisa collaborazione con esponenti di spicco della cosca Barbaro di Platì (RC), al fine della “messa a posto” di 2 imprese messinesi che sarebbero state legate a Cosa nostra, “vincitrici – scrivono gli analisti della Direzione Investigativa Antimafia – dell’appalto per l’adeguamento della SS 112 “Bovalino-Platì-Bagnara”.