CATANIA – La vita di una persona può, nel suo piccolo, farsi cardine tra culture, epoche e avvenimenti. Perciò raccontarla in breve significa conoscere e mostrare non un riflesso mediatico ma un frammento importante del proprio tempo. Imàn Bouchnafa, figlia del direttore della moschea catanese Ismail Bouchnafa, ha diciannove anni e idee piuttosto lineari sul vivere, espresse anche con un costante impegno in ambito sociale. “Fede” è il significato del suo nome. Abbiamo conversato con lei partendo da uno spunto immediato: la Colletta Alimentare che si terrà oggi in tutt’Italia. L’iniziativa nasce da ambienti cattolici ed ha recentemente ricevuto un augurio da papa Francesco.
Eppure a Catania la comunità islamica vi ha aderito con entusiasmo già dall’anno scorso, come ci ha confermato: “Abbiamo partecipato come moschea, ma ci hanno anche raggiunti amici al di fuori dalla comunità. Da parte cristiana l’accoglienza è stata subito amichevole. L’anno scorso eravamo alle Porte di Catania; adesso ci teniamo pronti, i tempi di preavviso sono brevi e mio padre sta aspettando notizie per andare”. Ma l’impegno di Iman e della sua gente si è espresso anche nell’assistenza ai migranti durante gli ultimi sbarchi: “Ci mettiamo tutti a disposizione senza ruoli specifici: secondo necessità acquistiamo cibo, vestiti, l’ultima volta ci avevano portato dei giocattoli e allora alcuni di noi si sono messi a giocare coi bambini appena sbarcati”.
Anche la conoscenza linguistica gioca in questo un ruolo fondamentale: Iman, che parla correntemente italiano e arabo, studia inglese, francese e spagnolo; e si districa tra i vari dialetti arabi come fra quelli siciliani. Una domanda sulla convivenza è inevitabile, la risposta è netta e ci spiazza felicemente. “Penso che questo distacco lo vedano soprattutto gli adulti, perché invece tra ragazzi ci troviamo bene”. Ma non sono luoghi comuni, la risposta è ragionata e intelligente: “Basta un po’ di apertura mentale per venirsi incontro: secondo me non serve a molto dire che siamo ‘tutti uguali’, avrebbe più senso accettare e condividere le diversità di ciascuno, dalle quali si può sempre imparare qualcosa”. Ciascuno può intendere l’apertura mentale a proprio modo, non sempre sano.
Ma qui l’esempio è nella vita quotidiana, tra gli amici: “Nel gruppo che frequento proveniamo da Paesi nordafricani, dall’Europa e dall’America, ovviamente ci sono anche degli italiani: scherziamo tanto sulle nostre diverse origini. Metti, però, alla fine le mamme sono le stesse in tutto il mondo…” Il “politicamente corretto” si smonta con un sorriso: “Si dice sempre che non sta bene chiamare ‘nero’ un africano…noi su questa cosa ridiamo sempre”.
Iman si è appena iscritta al primo anno di Psicologia: “Mi affascina questa disciplina e la sua applicazione in tutti gli ambiti della vita, m’interessa conoscere il linguaggio del corpo. Vorrei fare la psicoterapeuta: capire la gente, e se posso, dare qualche consiglio utile”. Esiste un legame tra cultura islamica e assistenza ai più disagiati? Evidentemente si, ma il discorso supera la precettistica religiosa, permeando un’intera cultura. “In Marocco è normale accogliere in casa una persona che ha bisogno: c’è poca diffidenza. Certo, questo può anche avere dei lati negativi, ma in generale ti senti a tuo agio in casa di chiunque”. Casa, identità: tra Marocco, Italia ed Europa, a quale luogo sente Iman di appartenere? “Nata a Torino, mi sento marocchina, anche se lì dal mio accento non capiscono mai da che parte del Marocco arrivo! Mi pongo spesso delle domande, ma cerco di darmi risposte semplici”.
Dalla semplicità alla bellezza: d’altronde “Dio è bellezza ed Egli ama ciò che è bello”, recita uno dei passi più felici del Corano, inequivocabile anche per la sensibilità europea. Come percepisce questa bellezza una giovane musulmana? “Per me si tratta di un dato soggettivo: diciamo che la trovo nella semplicità, più qualcosa è semplice più è gradevole”. E la bellezza di questo Dio, oggi tanto dibattuto, anche con dolore? “Secondo me è nel conciliare la complessità ma anche l’immediata semplicità di ciò che Egli ha creato. Mio padre ha sempre detto questa frase per spiegarmi che la religione non può essere solo nella preghiera e nell’aiuto degli altri, ma anche nel far del bene a se stessi: il corpo è un dono divino, averne cura è bene ”. Un senso di schietta simpatia non può che accompagnarci in questo momento di conoscenza, insieme al pensiero – forse scontato, forse no – che le difficoltà d’integrazione non stiano tanto sul piano umano, ma vadano ricercate e appianate altrove.