La sveglia suona presto in via Crispi, a Corleone. Alle sei in piedi per iniziare una lunga giornata di lavoro. Sono i volontari della cooperativa Lavoro e Non Solo che da otto anni scelgono di trascorrere le loro vacanze a Corleone, lavorando nei campi confiscati alla mafia.
Il progetto si chiama “Liberarci dalle Spine” ed è nato nel 2005 dalla collaborazione di Arci Toscana e i soci della cooperativa Lavoro e Non Solo che dal 2000 hanno ottenuto la gestione di alcuni terreni confiscati alla mafia.
I volontari che scelgono di partecipare ad un campo antimafia hanno la possibilità, non solo di conoscere da vicino cosa è realmente la mafia e cosa è l’antimafia sociale, ma anche di aiutare concretamente chi fa antimafia nel territorio – sporcandosi, letteralmente, le mani e mettendoci la faccia – aiutandoli a fare utili e dimostrando che può esistere uno sviluppo economico pulito.
Perché la sfida è questa. Prima che iniziasse, con il sindaco Cipriani, l’attuazione della legge sull’utilizzo sociale dei beni confiscati, questi rimanevano abbandonati per anni ed il mafioso, che magari in quei campi aveva fatto lavorare tanti “padri di famiglia” , aveva buon gioco a dire che lo Stato aveva tolto loro lavoro e sviluppo. Assegnando questi beni, non solo non se ne interrompe la produzione, ma si capovolgono i modi di produzione. Attraverso un lavoro che non è più fonte di oppressione e sfruttamento, ma luogo di autentico riscatto sociale e civile.
Clara è una ragazza di sedici anni. Con orgoglio ci racconta che ieri hanno raccolto 86 quintali d’uva. Il lavoro è stato duro, per fortuna arrivando hanno trovato la cena preparata da alcuni energici pensionati della Cgil, volontari anch’essi. Questo è la seconda volta che partecipa al progetto Liberarci dalle Spine, ha iniziato a quindici anni perché è l’età minima. Quando le chiedi come ha conosciuto il progetto risponde un po’ sotto voce: ”Mio nonno era il giudice Caponnetto. Anche se il nostro lavoro può sembrare una goccia nel mare è da queste piccole cose che si costruisce il cambiamento. E’ vero, il lavoro del magistrato è molto più lampante, ma anche lavorare nei campi è un messaggio forte; se io fossi un giovane corleonese avrei voglia di cambiare”. Il lavoro del magistrato e quello nei campi confiscati, dunque. “Secondo me – continua Clara – le due cose si affiancano, concorriamo tutti per lo stesso fine: abbattere l’organizzazione mafiosa”.
Valentina è arrivata qui da Monza. “Sinceramente Corleone la immaginavo diversa: più piccola. Invece qui c’è tutto” inizia a raccontare, con un po’ di timidezza. Ha percepito subito una certa ostilità da parte di qualche corleonese, “Non pensavo che la mafia si avvertisse anche negli sguardi”. Ma questo non la scoraggia affatto: “Nonostante l’ostilità bisogna sbattergli in faccia la nostra presenza, poi magari finisce lì, ma almeno dai un segnale, fai vedere che c’è altro”. Del resto, continua, “lo scopo è fare accendere una lampadina”.
E sicuramente qualche lampadina in questi anni si è accesa. “Quando abbiamo iniziato i volontari erano ottantaquattro” racconta Calogero Parisi, presidente della cooperativa che ospita i ragazzi, “ quest’anno ne sono arrivati seicento”.
In questi anni i volontari sono stati in tutto 2500 e il loro lavoro non si è fermato a Corleone. Sono tornati a casa con un bagaglio di esperienza e di conoscenza del fenomeno mafioso preziosissimo. Hanno capito che la mafia non si ferma sullo stretto ma siede elegantemente nei salotti milanesi, bolognesi, fiorentini.
Ecco allora che, oltre ai pomodori biologici, alle lenticchie, alle uve di contrada Malvello, arrivano al nord dei cittadini nuovi, consapevoli e attivi, pronti sempre a fare la loro parte, a sporcarsi le mani e a non dare tregua mai a tutte le mafie.