Sono troppo distanti per avere un collegamento fra loro, i terremoti che a distanza di poche ore hanno scosso Sicilia, Marche, Liguria ed Emilia Romagna, e ognuno è stato generato da un meccanismo diverso. “Non c’è alcuna relazione: le distanze fra i luoghi in cui sono avvenuti i terremoti sono di centinaia di chilometri perché possa esserci un nesso”, ha detto all’ANSA il sismologo Carlo Meletti, della sezione di Pisa dell’Istituto Nazionale di geofisica e Vulcanologia (Ingv).
“E’ curioso che dopo un periodo di apparente calma si siano verificati quattro terremoti un po’ più forti e avvertiti dalla popolazione”, ha aggiunto riferendosi al fatto che “negli ultimi tre mesi abbiamo avuto in Italia solo una scossa di magnitudo superiore a 4: di fatto, avere due terremoti importanti nello stesso giorno è solo una variazione statistica”.
Dei quattro terremoti, il più profondo (24 chilometri) è quello avvenuto alle 12,24 nelle Marche, a Folignano, in provincia di Ascoli Piceno, e la cui magnitudo è stata ricalcolata in 3,9. Vengono subito in mente i terremoti tipici dell’Appennino, ma questo è un sisma diverso: “è localizzato lungo la costa delle Marche, in una fascia esterna che ha una sua sismicità”, ha detto l’esperto. Si trova infatti in una zona compresa fra l’Appennino e la fascia esterna lungo la costa delle Marche, che una sismicità di tipo diverso. “Il terremoto è stato generato da un meccanismo trascorrente, ossia dallo scorrimento laterale si strutture profonde”, mentre i terremoti appenninici sono di tipo distensivo e generati da strutture più superficiali.
Ha delle sue peculiarità anche il terremoto di magnitudo 4.1 avvenuto in Liguria, a Bargagli (Genova). “E’ una zona non molto sismica e nella quale non si sono rilevati storicamente terremoti troppo forti”. Anche in questo caso il meccanismo è diverso da quello tipico dei terremoti dell’Appennino: “è infatti di tipo compressivo – ha detto Meletti – perché questa zona della Liguria è nell’area di congiunzione fra l’Appenino a Est e l’arco alpino a Ovest”. I sismi più forti avvenuti in passato in questa zona hanno avuto una magnitudo fra 4 e 5.
Anche il terremoto di magnitudo 3,6 in Sicilia, a Paternò (Catania), ha caratteristiche particolari: sebbene sia avvenuto nell’area dell’Etna, è stato generato da un meccanismo indipendente dal vulcano e legato a faglie che si trovano nella zona. “Paternò si trova in una zona alle pendici dell’Etna nella quale si sta rilevando una sismicità frequente da qualche settimana. Per questo – ha aggiunto il sismologo – non deve sorprendere”. A generare il terremoto “potrebbero essere state faglie sismogenetiche importanti che si trovano a Sud dell’Etna e indipendenti dall’attività del vulcano”.
Potrebbe invece essere un tipico terremoto dell’Appennino quello di magnitudo 3,8 avvenuto a Pievepelago (Modena), “sul crinale fra l’Emilia e la Garfagnana, una zona sismica ben conosciuta e della quale, purtroppo sappiano che ha una sismicità frequente”.