Ciapigate, Riggio resta in cella | "Quelle conoscenze politiche" - Live Sicilia

Ciapigate, Riggio resta in cella | “Quelle conoscenze politiche”

Respinta per la seconda volta la richiesta di scarcerazione dell'ex presidente dell'ente di formazione: "Potrebbe influenzare i soggetti, indagati e non". la difesa: "Non c'è alcun rischio di inquinamento probatorio".

PALERMO – Francesco Riggio resta in cella. Paga lo scotto della sua rete di conoscenze politiche “di primo livello” su cui si baserebbe il pericolo di inquinamento probatorio che gli viene contestato. Arriva un nuovo no alla scarcerazione dell’ex presidente del Ciapi di Palermo.

Cambia il giudice, ma la decisione resta la stessa. Prima era stato il giudice per le indagini preliminari Luigi Petrucci a decidere di lasciarlo in carcere. Poi, da quando i pm hanno chiesto il giudizio immediato per 8 dei 34 indagati del Ciapigate, il fascicolo è passato al presidente della sezione Gip, Cesare Vincenti. E anche lui ha respinto l’istanza di concessione degli arresti domiciliari. I legali di Riggio, gli avvocati Antonino e Salvatore Mormino, adesso si rivolgeranno al Tribunale del Riesame convinti che il loro assistito meriti miglior sorte proprio alla luce della richiesta di immediato avanzata dalla Procura. Immediato la cui applicabilità viene per altro contestata dalle difese di molti indagati.

Il loro ragionamento può essere così sintetizzato: se i pm ritengono la prova talmente evidente da chiedere di saltare l’udienza preliminare non si capisce in che modo l’indagato possa ancora inquinare le prove considerate “cristallizzate” dalla Procura. Eppure i giudici la pensano in maniera diversa. C’è un passaggio, in particolare, da sottolineare nella motivazione del Gip Petrucci, il primo a dire no alla scarcerazione di Riggio perché “ove anche fosse posto agli arresti domiciliari, cercherebbe di influenzare tutti i soggetti (indagati e non), potendo contare su una rete di conoscenze di primo livello essendo stato per vari lustri un uomo di fiducia dei vari presidenti della Regione che si sono succeduti”.

Il giudice, dunque, tira in ballo le conoscenze “politiche” dell’avvocato penalista e presidente del Ciapi di Palermo per sostenere il potenziale rischio di inquinamento probatorio. Riggio è rimasto alla guida dell’ente di formazione palermitano per un decennio e fino a luglio del 2012, quando ha ricevuto il “benservito” dall’allora presidente della Regione, Raffaele Lombardo, successore di Totò Cuffaro. Sono i due governatori sotto la cui presidenza Riggio ha retto le sorti del Ciapi. Nella misura cautelare che lo ha raggiunto, tra gli altri, assieme al manager della Pubblicità, Faustino Giacchetto (sono gli unici due ancora in carcere), è ampio il capitolo dedicato alle presunte connivenze con burocrati e politici (fra deputati ed ex assessori). Non c’è, però, il riferimento agli ex governatori citato da Petrucci.

“Se mi fossi accorto di quello che stava succedendo sarei stato io stesso a denunciarlo”: Riggio si è difeso così dall’accusa di essere una delle menti dell’associazione a delinquere che avrebbe fatto affari sporchi sfruttando le risorse comunitarie affidate all’ente di formazione. Si è proclamato innocente, fuori da ogni meccanismo illecito. Perché se illecito c’è stato, è stato commesso alle sue spalle. E ha negato tutti gli episodi di corruzione, tutti i benefit ottenuti da Giacchetto. Gli ingressi allo stadio Barbera? Il Ciapi, ha spiegato l’indagato, aveva un contratto con il Palermo calcio e le tribune vip invendute venivano omaggiate agli sponsor alla fine della campagna abbonamenti. Il biglietto aereo a Roma? Erano spese sostenute da Riggio spostatosi in trasferta per seguire in qualità di avvocato alcune cause. Il viaggio da sette mila euro a Vienna pagato da Giacchetto? Era un viaggio istituzionale.

Per tutto il resto, e cioè la mole di fatture false o irregolari scoperte nella contabilità del Ciapi di Palermo – Riggio si è giustificato, dicendo che non era certo il presidente a dovere eseguire i controlli. Il Ciapigate si basa molto sui faldoni sequestrati dalla Guardia di finanza. Appunto, spiegano gli avvocati, le prove documentali non possono essere alterate. Il pericolo di inquinamento probatorio non regge. La parola al Riesame.

 


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