CATANIA. Sarà il gup di Catania Daniela Monaco Crea a decidere sulla richiesta di rinvio a giudizio formulata dal pubblico ministero Giuseppe Sturiale per 16 dei 23 indagati dell’operazione antimafia denominata Kallipolis, con cui nel dicembre dello scorso anno i carabinieri del Nucleo Investigativo del Comando provinciale di Catania hanno inferto un nuovo durissimo colpo al clan Brunetto. Tra gli imputati che dovranno comparire in udienza preliminare il prossimo 11 luglio c’è Carmelo Pietro Olivieri, noto come “Carmeluccio”, ritenuto dagli inquirenti a capo della cosca, legata al clan Santapaola Ercolano. Gli altri 15 sono Salvatore Brunetto, fratello del boss Paolo, Giuseppe Calandrino, Alfio Di Grazia, Vito Fazio, Leonardo Fresta, Francesco Pace, Alfio Patanè, Paolo Patanè, Alessandro Siligato, Luca Daniele Zappalà, tutti raggiunti sei mesi fa da ordinanza di custodia cautelare. E poi, tra gli indagati a piede libero, anche Valerio Di Stefano, Alfio Fresta, Pietro Galasso, Luciano Liuzzo e Paolo Marino. Tutti sono accusati, a vario titolo, di associazione mafiosa, rapina, spaccio di sostanze stupefacenti, furto e detenzione e porto illegale di armi. L’unico dei 12 indagati raggiunti da ordinanza di custodia cautelare per il quale il pubblico ministero non ha chiesto il rinvio a giudizio è il 23enne Marco Miraglia. Il giovane poco prima di Natale fu l’unico ad essere rimesso in libertà dal tribunale del Riesame per assenza dei gravi indizi di colpevolezza.
L’INCHIESTA. Traffico di stupefacenti, rapine e l’imposizione dei propri uomini nella gestione della sicurezza dei locali della fascia ionico etnea. Questi gli interessi del clan Brunetto, documentati dai carabinieri del Comando provinciale di Catania nel corso dell’attività investigativa sfociata nell’emissione di un’ordinanza di custodia cautelare nei confronti di 12 presunti affiliati all’organizzazione mafiosa operante tra Fiumefreddo di Sicilia e Giarre. A guidare le attività è “Carmeluccio” dalla stalla di sua proprietà, nel Vico Costanzo a Giarre, divenuta quartier generale del clan. Proprio lì vengono piazzate le telecamere e le cimici che documentano incontri e attività. Il clan è armato, come evidenziano le immagini. Nel 2014 i militari fanno irruzione nell’abitazione di Giuseppe Calandrino, uno degli odierni imputati. In quella casa viene rinvenuto un vero e proprio arsenale.