Clan Brunetto, l'Appello di Kallipolis: pene ridotte - Live Sicilia

Clan Brunetto, l’Appello di Kallipolis: pene ridotte

Verdetto di secondo grado in uno dei processi scaturiti dall'operazione che ha scardinato gli equilibri mafiosi nella fascia ionica etnea.
IL BLITZ DEL 2016
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CATANIA – Una serie di assoluzioni e pene ridotte. È quando deciso dalla seconda sezione della Corte d’Appello di Catania nella sentenza di secondo grado del processo Kallipolis, dal nome dell’operazione coordinata dalla Direzione distrettuale antimafia di Catania ed eseguita dai carabinieri di Giarre a dicembre 2016. Un’inchiesta che aveva disarticolato il clan mafioso dei Brunetto, legato alla famiglia Santapaola-Ercolano di Catania, nella fascia ionica etnea: da Fiumefreddo di Sicilia a Giarre, gli interessi della cosca avrebbero orbitato a traffico di droga, rapine e imposizione della sicurezza nei locali costieri.

Alcuni mesi fa, a settembre 2022, erano scattate le manette per Salvatore Brunetto, 54 anni, fratello dello storico boss Paolo Brunetto. Alla morte di quest’ultimo, avvenuta nel 2013, sarebbe stato Salvatore a prendere in mano le redini del clan. Con il rito abbreviato è stato condannato a tre anni e quattro mesi ed è stato portato nel carcere di Bicocca, a Catania, per scontare la pena. Adesso i giudici d’Appello si esprimono anche sull’altro troncone del processo, che invece vedeva imputato Carmelo Pietro Olivieri, meglio noto come Carmeluccio, considerato in ascesa all’ombra dei Brunetto e condannato in primo grado, a ottobre 2020, a 21 anni di carcere.

Il ricorso dopo le condanne

Dopo le pesantissime condanne in primo grado, Carmelo Pietro Olivieri, Luca Daniele Zappalà, Giuseppe Calandrino, Alfio Di Grazia, Valerio Sergio Di Stefano, Luciano Liuzzo, Paolo Marino, Vito Fazio, Alfio e Leonardo Fresta e Francesco Pace avevano fatto ricorso in Appello. Dando il via al secondo capitolo giudiziario del seguito del blitz Kallipolis.

Gli imputati principali

Ieri, 26 aprile 2023, è stato emesso il verdetto: per Carmeluccio la pena è stata rideterminata in 14 anni di reclusione. Per Luca Daniele Zappalà, a cui in primo grado era stata comminata una condanna a 18 anni di reclusione (e a una multa da 70mila euro), pena ridotta a 12 anni e sei mesi. Giuseppe Calandrino, ultimo degli imputati principali, per i giudici di primo grado avrebbe dovuto scontare 16 anni e otto mesi di carcere: sono adesso 12 anni e quattro mesi.

Olivieri, Alfio Fresta, Zappalà, Calandrino e Di Grazia sono stati assolti da uno dei capi d’imputazione “per non avere commesso il fatto“. Lo stesso è accaduto per Francesco Pace, in relazione a un’altra delle accuse. Prescrizione, invece, per tre capi d’imputazione ascritti a Luciano Liuzzo (due) e a Leonardo Fresta (l’ultimo restante). Quest’ultimo era stato condannato in primo grado a dieci anni e sei mesi di reclusione, adesso la pena è rideterminata in nove anni.

Altre pene ridotte

Alfio Di Grazia, che nella sentenza del 2020 doveva scontare 16 anni e otto mesi di carcere, ha ottenuto il riconoscimento delle attenuanti generiche ed è stato condannato in Appello a sette anni di reclusione. Stessa condanna per Vito Fazio (in primo grado, gli anni erano nove). Il presidente della Corte dichiara poi il “non doversi procedere” nei confronti di Valerio Sergio Di Stefano e Paolo Marino. Le motivazioni della sentenza arriveranno tra novanta giorni.


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