CATANIA – Ha ventisette anni, un bambino in grembo ma non ha più una casa. Viveva nel campo rom, allestito a pochi passi dall’aeroporto Fontanarossa, sgomberato dal Comune. Adesso staziona sul marciapiede antistante la Caritas. Si tratta di una donna rumena che insieme al marito ha lasciato la sua terra speranzosa di trovare lavoro in Italia poco meno di un anno e mezzo fa. “Sono venuta a lavorare. – dice – Ho lavorato come badante, dopo la morte del signore per il quale lavoravo è morto, così ho perso il lavoro. Ero al parco Fontanarossa, però oggi ha chiuso. Ora mio marito cerca un posto ”. In realtà, a cercare una sistemazione più o meno provvisoria sono in tre, la donna ci racconta che aspetta un bambino. “Sono incinta di sette mesi” e aggiunge amaramente che in queste condizioni è ancora più difficile trovare un lavoro: “non mi prenderà nessuno”. Di certo c’è che le condizioni igienico sanitarie del campo sgomberato erano pessime, ai limiti della decenza, ma è anche vero che le strada non è un giaciglio più accogliente. Dalle poche battute che scambiamo con la donna (in realtà poco più di una ragazza ma con un viso segnato dalle difficoltà tanto da apparire molto più anziana) emerge una storia che smentisce la retorica che si appiglia alla formula “gli stranieri dell’est rubano, non lavorarono”. Lei e il marito, in Italia, hanno sempre lavorato, o almeno ci hanno provato. “Mio marito ha lavorato in campagna, ha fatto il muratore” – racconta ancora la donna. “Lui lavora – insiste – però è molto difficile trovare lavoro, ma in Romania è peggio di qua”.
Che sia Italia o Romania, Bucarest o Catania, quello che è certo è che la situazione è drammatica, tra pochi mesi nascerà una nuova vita e pensare al futuro è veramente difficile in queste condizioni. L’unica certezza è il freddo – oggi ci sono soltanto quattordici gradi, ma domani? – e la mancanza di un tetto sulla testa.