La Barbera e quelle pressioni | su un teste della strage Borsellino - Live Sicilia

La Barbera e quelle pressioni | su un teste della strage Borsellino

Arnaldo La Barbera

L'obiettivo sarebbe stato quello di convincere Luciano Valenti ad autoaccusarsi del furto della Fiat 126 usata come autobomba per la strage del 19 luglio 1992.

CALTANISSETTA – Luciano Valenti, fratello di Pietrina Valenti, proprietaria della Fiat 126 usata come autobomba per la strage di Paolo Borsellino e dei componenti della sua scorta, sarebbe stato picchiato e minacciato dall’allora capo della squadra mobile di Palermo, Arnaldo La Barbera e da un altro funzionario di polizia, Vincenzo Ricciardi, perché si autoaccusasse del furto dell’utilitaria. Lo ha dichiarato il testimone rispondendo alle domande della Corte d’Assise al processo “Borsellino Quater” che si sta svolgendo a Caltanissetta.

Il 5 settembre del 1992, Valenti venne arrestato insieme al nipote Roberto Valenti e a Salvatore Candura perché accusati di violenza sessuale. “Quando arrivammo al carcere Ucciardone – ha detto Luciano Valenti – Candura venne pestato a sangue. Lo sentivo gridare ma non ho mai saputo il motivo di quelle legnate”. Lui e Candura furono poi trasferiti a Belluno. La Barbera e Ricciardi sarebbero andati proprio in quel carcere a trovare il detenuto per tentare ancora di convincerlo a confessare il furto della 126. Valenti reagì rispondendo che non sapeva “nulla di quella macchina”. Quindi – ha ricordato il teste – altro trasferimento, questa volta a Bergamo, dove Valenti venne sistemato in carcere insieme a Salvatore Candura. Candura riuscì laddove La Barbera aveva fallito.

Il falso pentito convinse, infatti, Valenti ad autoaccusarsi del furto della 126, assicurando che in cambio avrebbe ricevuto “protezione”, un lavoro, una casa e uno stipendio. “Per convincermi a scrivere di mio pugno quella dichiarazione – ha detto nella sua deposizione odierna, Lorenzo Valenti – in cella arrivarono panini imbottiti e stecche di sigarette. E proprio a Bergamo mi vennero a trovare La Barbera e Ricciardi”. Poi i due furono trasferiti a Mantova, dove Valenti dice di avere convinto Candura a rivelare la verità e a confessare di essere stato il vero autore del furto dell’utilitaria usata come autobomba. “Da allora – ha dichiarato Valenti – Candura non smise più di essere interrogato dai magistrati. In albergo trascorreva il tempo sulla macchina da scrivere. Candura mi ha anche rivelato che fu Scarantino, all’epoca suo vicino di casa, ad ordinargli il furto della 126”.

Nell’udienza di oggi sono stati interrogati anche Pietrina Valenti, proprietaria della 126, il nipote, Roberto Valenti e Francesco Spatuzza, fratello del pentito. Pietrina Valenti ha rivelato che si era rivolta a Candura, amico del fratello, per ottenere la restituzione dell’utilitaria dato che sospettava che fosse proprio lui l’autore del furto. Roberto Valenti ha confermato le pressioni di La Barbera perché i Valenti si auto-accusassero del furto dell’auto. Infine, Francesco Spatuzza ha dichiarato la propria estraneità ai fatti, ammettendo soltanto di conoscere come artigiano Costa, il meccanico che aveva riparato la 126 rubata. Il processo è stato aggiornato a giovedì prossimo, 4 luglio.

(Ansa)


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