Ecco i pentiti che hanno fatto | terra bruciata attorno a "Nuccio" - Live Sicilia

Ecco i pentiti che hanno fatto | terra bruciata attorno a “Nuccio”

Dai verbali dei collaboratori di giustizia il sistema che ha reso Nuccio Mazzei il "boss dei boss". Fino all'arresto della polizia dopo la latitanza.

MAFIA - LE RIVELAZIONI
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CATANIA- Il procuratore Capo Giovanni Salvi aveva assicurato che Nuccio Mazzei, il padrino dei Carcagnusi, aveva le ore contate. E così è stato. La maxi operazione della polizia, che ha consentito il suo arresto, dopo una lunga latitanza dorata, pone fine all’impero del boss ai vertici di un sistema fatto di appalti, scalate societarie e gestione di attività solo apparentemente lecite, attraverso insospettabili e famigliari.

Non la solita mafia coppole e cicoria, di stampo palermitano. Nuccio Mazzei, come testimonia l’operazione Scarface della Guardia di Finanza aveva fatto il salto di qualità.

A incastrarlo è stato il lavoro della Polizia, forte anche di importanti operazioni eseguite da Guardia di finanza e Dia. Ma soprattutto, la Procura ha ricostruito ogni particolare del sistema di potere creato e guidato da “Nuccio”, grazie alla collaborazione di Santo La Causa, ex reggente militare dei Santapaola e i killer dei Cappello, oggi pentiti Gaetano Musumeci e  Gaetano D’Aquino.

Santo La Causa, quando ha iniziato a collaborare ha raccontato ai magistrati ogni passaggio dell’evoluzione dei Mazzei, il cui gruppo, tra il 2006 e il 2009 “era retto da Ianu Babbaleccu e guidato da Alfio Ammuttapotte, poi il gruppo passò a Santo U Panettiere e non appena Nuccio Mazzei venne scarcerato divenne lui il capo”.

Quando lo incontrò la prima volta, La Causa era preoccupato. “L’incontro avvenne in un garage di via Palermo che mise a disposizione Alfio Ammuttapotte; ricordo che io feci controllare la zona a Benedetto Cocimano e ai suoi uomini, al fine di verificare se i Mazzei mi stessero preparando un agguato”.

Il capo militare dei Santapaola sapeva bene che per discutere degli equilibri di Bronte, doveva sedersi a tavolino con Nuccio Mazzei. E lo ha fatto quando bisognava capire che ruolo avrebbero avuto i Mazzei nell’eventuale guerra con i Carateddi. Ma soprattutto, Santo ha parlato degli affari di Nuccio: “Il traffico di stupefacenti, il controllo del mercato del pesce e della sala Bingo di Piazza Alcalà”, dichiarazioni confermate anche dal killer dei Cappello Gaetano Musumeci, secondo il quale, alcune attività all’interno del Bingo Alcalà sarebbero gestite da un prestanome dei Mazzei. Nuccio avrebbe detto a Musumeci: “Qua ci sono io, questo è mio, questo è mio…”.

“IL MERCATO PER PESCE E’ COSA NOSTRA” La Causa non aveva dubbi, il mercato del pesce di via Domenico Tempio era sotto il controllo della mafia e adesso che è stato trasferito al nuovo Mercato agroalimentare e i box assegnati sempre alle stesse persone, è difficile credere che qualcosa sia cambiato.

Secondo i verbali segreti di La Causa “i commercianti titolari di box erano tenuti a pagare somme variabili in considerazione del quantitativo di pesce che veniva pescato”. Per il clan Mazzei il referente era “Nuccio, figlio di Santo”.

“Tra di noi -aggiunge il collaboratore- e il clan Mazzei, la divisione era in parti uguali, nel senso che, valutato il peso del pesce spada e del tonno lavorato da ogni box, il commerciante a fine mese doveva versare una somma calcolata per ogni chilogrammo e poi arrotondata, somma che spettava al 5% a noi e al 50% ai Mazzei”.

SANGUE E POTERE I Mazzei, grazie al “carisma” mafioso di Nuccio hanno mantenuto un ruolo da sempre determinante negli equilibri degli Ercolano-Santapaola. Nel 2009, nel momento più caldo della guerra tra clan, Ignazio Barbagallo, colonnello dei Santapaola, chiede un incontro a Nuccio per comprendere se i Carcagnusi fossero disponibili a collaborare con i Santapaola. Il summit avvenne nel villaggio Ippocampo di mare, ovvero un tratto di costa recintato e blindatissimo. Ad accompagnare il boss dei Mazzei c’era il cugino Lucio Stella, per i Santapaola il boss Vincenzo Aiello, Benedetto Cocimano e Turi Amato.

Lo scopo era quello di arginare lo strapotere che stava assumento Iano Lo Giudice, il Carateddu. Ignazio Barbagallo ha spiegato ai magistrati che durante il summit Vincenzo Aiello confessò a Nuccio che i Mazzei di Lineri, capeggiati da Tino Paparazza, stavano per passare con i Santapaola, Aiello sperava che questo avvenisse, “perché la famiglia Santapaola necessitava di nuove forze”.

Non è facile trattare con “Nuccio”. Paolo Mirabile ha raccontato che si incontrava spesso con Benedetto Cocimano e considerava arrogante Daniele Nizza, Nuccio Mazzei evitava di incontrarlo perché -racconta Mirabile- essendo figlio di Santo Mazzei era in una posizione superiore a quella di Nizza, “che pur essendo stato reggente del clan Santapaola, doveva sempre riferire ai referenti della famiglia di sangue”.

Per il ruolo ricoperto, Nuccio Mazzei partecipava solo di rado ai summit di mafia, per questioni di sicurezza. Lo sa bene il pentito Gaetano D’Aquino, già killer del clan Cappello che aveva avuto l’ordine di uccidere “Nuccio” dai vertici della sua organizzazione. Per evitare di essere vittima di agguati, il boss dei Mazzei si faceva spesso rappresentare da un suo parente “Si chiamava Lucio (Lucio Stella ndr), non ricordo il cognome. Lui lo rappresentava in parecchie riunioni che ci sono state di elevato spessore e veniva accompagnato da Mario Maugeri “Ammuttapotte”. Loro venivano insieme ai Santapaola, Enzo Aiello, Benedetto Cocimano e Omar Scaravilli facente parte della famiglia Laudani. Quando noi c’incontravamo con Nuccio Mazzei andavamo a casa sua, perché lui non si fidava a venire da noi”.

L’ordine di ucciderlo era stato dato da Sebastiano Lo Giudice in persona, boss dei Carateddi, che voleva vendicare l’uccisione, compiuta dai Carcagnusi, dello zio Massimiliano Bonaccorsi. Per questo, il Carateddu avrebbe detto a D’Aquino: “Guarda, meglio di approfittare ora di ammazzare Sebastiano Mazzei non c’è. Così io mi vendico mio zio. Perché è imminente che ci arrestano a tutti, quindi io prima che m’arrestano devo levare di mezzo Sebastiano Mazzei”. Per quest’uccisione arrivò l’assenso di Orazio Privitera, ma non era necessario. “Lo Giudice -insiste D’Aquino- lo avrebbe fatto comunque”.

I Cappello volevano la strada Ottanta Palmi “libera”, si tratta del principale snodo della droga di Catania, arteria strategica che porta al Tondicello della Playa; per questo, oltre a Nuccio doveva essere ammazzato anche Salvatore Amato dei Santapaola.

Nuccio fu pedinato da Gaetano Musumeci. “Scoprimmo -racconta il pentito dei Cappello- che lui tutte le domeniche abitualmente si recava nel Bar Lanzafame a comprare, diciamo, dei pasticcini da portare a casa come si fa la domenica, per usanza”.

Per la prima volta D’Aquino, spietato assassino, ebbe quasi paura. “Un conto è uccidere un appartenente ad un clan, un conto è uccidere un consanguineo del capo clan: è una guerra che non finirà mai. Per cui io ero molto contrario, o arrivavo qualche volta in ritardo, qualche volta facevo finta ca chi guidava la moto sbagliava strada, ppi chistu sulu campau Nuccio Mazzei”. Un agguato è fallito perché D’Aquino, a due passi dal bar Lanzafame, temeva di essere riconosciuto dalla moglie di Giovanni Nizza, detto Giovanni Banana, anche se, insieme a un altro affiliato, erano incampucciati a bordo di una moto, con tanto di caschi. “Però la mia fu una scusa, poi addossai la colpa a Gaetano Musumeci perché Lo Giudice si arrabbiò molto”.

Altro tentativo di agguato, altro fallimento, D’Aquino non se la sentì per la seconda volta di uccidere Nuccio. Era un tranquillo giorno di febbraio, nel pieno della festa di S.Agata. La candelora dei macellai stava “ballando” davanti ad alcuni negozi. Due affiliati ai Cappello, Antonio Bonaccorsi e Vito Acquavite, a volto scoperto, vedono il boss dei Mazzei, “è dentro la micra grigia -dicono a D’Aquino- c’è confusione per la strada, stavolta non scappa”. Aggiunge il killer: “Se n’erano già iniziati a fregare se la gente ci vedeva perché era loro intenzione affrontare anche una guerra”. Insieme a Nuccio, nell’auto, c’era un certo Mario Spina “un soggetto che non è vicino a clan mafiosi, però frequenta molte persone, diciamo, che fanno parte di clan mafiosi”. “Nuccio Mazzei mi ha visto -confessa D’Aquino- Nuccio Mazzei credo che si è preso un bello spavento, ma io non me la sono sentita di sparare, non ho sparato dicendo che i vetri erano appannati e non lo vedevo bene, e me ne sono andato”.

Il boss dei Carcagnusi a quel punto si recò da Orazio Privitera, a chiedere conto e ragione di quello che stava per accadere. E Privitera negò: “Nuccio, non erano là per te, perché come tu stai raccontando la cosa e per come tu hai visto, se erano per te t’ammazzavano”. Nuccio abbocca: “E’ vero, su vulevanu m’ammazzavanu”.

Dopo quell’incontro il boss Orazio Privitera dei Cappello, “ordinò di sospendere l’operazione -conclude D’Aquino- e aspettare momenti migliori”.

Gaetano Musumeci, killer del clan Cappello adesso pentito, ha parlato ai magistrati dei rapporti tra i clan nella gestione degli appalti.

Gli incontri, per trattare di affari, avvenivano alle Salette, arteria storica di San Cristoforo, Musumeci partecipava nella veste di braccio destro di Sebastiano Lo Giudice. Ai summit partecipavano Nuccio Mazzei, i fratelli Nizza, i Cursoti milanesi, gli Strano detti “Mattiddina” e si parlava dei passaggi di alcuni soggetti da un clan all’altro, ma soprattutto si parlava di affari, a partire dalla gestione delle “strade”, cioè le piazze di spaccio e il controllo del territorio, ma anche di altro. Musumeci svela che si parlava anche e soprattutto di “appalti”. “Sempre a livello di incontri, di appalti, di appalti…per esempio ci sono stati gli appalti dello stadio”.

Musumeci sostiene che i Mazzei gestiscono attività commerciali, bar e servizi di sicurezza all’interno dello stadio Cibali: “Loro hanno il controllo dello stadio, dello stadio Cibali, il controllo dei bar di lì dentro, della sicurezza, appalti di questo genere”.

Secondo il collaboratore i Mazzei gestirebbero le assunzioni di coloro che si occupano del controllo degli ingressi allo stadio durante le partite del Catania Calcio. “E’ un appalto che si fa ogni anno, mi sembra, ogni due anni, e loro lo vincono, prima era degli Strano questo…questo appalto e noi siamo a conoscenza di questo perché prima gli Strano avevano questa situazione, poi gli strano sono passati con noi, di che erano con Nitto sono passati con la famiglia dei Carateddi e ci hanno fatto emergere questa cosa”.

 


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