La felicità spezzata di Carmela - Live Sicilia

La felicità spezzata di Carmela

Una ragazza assassinata per difendere la sorella. Questa è Carmela con la sua vita davanti, una vita fatta di sogni e di speranze. Una famiglia perbene distrutta dalla furia di un ragazzo-mostro. E una scuola sgomenta che, il giorno dopo, prova a raccontarsi ciò che non si può raccontare, mettendosi a nudo e confrontando le fortissime emozioni del giorno dopo.

Il giorno dopo
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Il banco di Carmela

Il banco di Carmela

PALERMO- Questa è Carmela con tutta la vita davanti. Ne vediamo un pezzetto nella foto presa dal diario di Facebook. E basta per farci sentire l’immensa felicità che non è entrata nello spazio. Lei scriveva di sé: sono brutta. Invece era bellissima. Una bestia, una cosa inutile, ha reciso il fiore proprio mentre sbocciava. Bastano una lama e un omuncolo insignificante per assassinare l’infinito.

Carmela Petrucci ha riempito una fisionomia via via che la giornata di ieri chiariva i contorni dei fatti. Un’agenzia all’ora di pranzo quando tutto il mondo, redazioni comprese, pensava al piatto di pasta della trattoria più vicina. “Una donna uccisa, una donna ferita”. Più tardi, si è capito che le donne erano due ragazzine innocenti, massacrate da un mostro travestito da ragazzo, tale Samuele Caruso. Due scatti lo descrivono. Il ritratto di Facebook e la segnaletica in questura. Il primo tratteggia il profilo di un ventitreenne banale, con cuoricini e inni all’amore perduto nelle pagine virtuali. Il secondo ferma l’espressione asettica di uno che è appena uscito dalla pizzeria e si chiede dove finire la serata. Un vigliacco che frigna davanti al magistrato: “Ho perso la testa, ho perso la testa…”. Però, nell’androne della casa di Lucia e Carmela Petrucci in via Uditore 14, si è presentato con il coltello.

Questa è Carmela, china su un foglio, a scrivere, con l’aria assorta di chi sta fermando i suoi sogni sulla carta e non vuole che scappino. “La donna uccisa” dell’Ansa, tra il pomeriggio e la sera di un venerdì indimenticabile, ha assunto fattezze dolci, di cui innamorarsi. Gli occhialetti. Due occhi intrisi di tenerezza. Una mano su un foglio. Le memorie fotografiche con la sorella Lucia. Il lento dondolarsi su uno scivolo. Fino a ieri era tutto il preludio di un cammino. Oggi, è già ricordo. Questa è Carmela che ha difeso la sorella. E lo ha fatto perché sentiva che se Lucia fosse morta, lei sarebbe morta di più, restando viva.

Il banco di Carmela, nella succursale del liceo classico Umberto, in fondo a via Perpignano, è in terza fila accanto alla finestra. Il verde fòrmica è accompagnato dal pallore di tre rose. Come Facebook, anche il banco su cui passi metà del tempo è un diario. “Brighton aspettaci”, c’è scritto. Brighton, la meta incantata di un viaggio. Ci sono altri appunti su altri banchi, nell’arcipelago della III L. “Forza Palermo”. “Herman Hesse”. “-1 to Paris”. “Simon Kjaer”. E versi in greco sulla lavagna bianca.

Il preside, il professor Vito Lo Scrudato, è giustamente diffidente. Sono piombate le telecamere e gli hanno ficcato il microfono in bocca, in un’orgia di cosasiprovainquestimomenti… Lui ha scritto una lettera aperta agli studenti: “La violenza si è presentata veloce e distruttiva nelle nostre vite, si è scagliata con il suo peggiore volto sulla nostra Comunità Scolastica e con maggiore severità sulla famiglia di Carmela e Lucia, una famiglia come le nostre, una famiglia che abbiamo deciso essere la nostra. Perché avvertiamo forte il dolore della mamma e del papà di Carmela, del fratello che è stato allievo del nostro Istituto, indoviniamo lo smarrimento che si impadronirà di Lucia una volta dissolti gli effetti degli anestetici, quando il suo corpo si avvierà a guarigione, come sembra probabile e come noi auspichiamo. Noi abbiamo bisogno delle parole giuste per raccontare un evento che non ha un senso, per narrare una storia che sconcerta e lascia muti. Ci facciamo tuttavia obbligo di narrare per realizzare lo sforzo di capire, anche solo ciò che non è possibile capire. La storia ci narra di un gesto d’amore estremo, il generoso sforzo di Carmela di dare salvezza alla sorella…”.

E’ un eroe il professor Lo Scrudato. Sa che, quando tutto frana, c’è solo la scuola con la sua fragile e saldissima forza. Con i suoi libri di latino e gli abecedari mai scritti in cui si insegna come tentare di guardare in faccia ciò che non può essere guardato, né spiegato.
Sono eroi normali i professori del liceo che spalancano le braccia e accolgono le lacrime dei ragazzi. Braccia capienti, ali di gabbiano per proteggere chi ha scoperto l’orrore senza avvertenze né manuali per l’uso. Sono eroi i ragazzi che trovano il coraggio di gridare la spaccatura delle loro anime. E la dicono col corpo. Con le mani che si toccano. Con le strette improvvise. Con gli occhi che si cercano, prima di piangere insieme. E c’è un gattino tra le gambe di tutti. Miagola. Si lascia accarezzare. Lo accarezzano, mentre nell’aula magna docenti, studenti e genitori si mettono a nudo per reagire. Ancora il preside: “Abbandonatevi ai giochi, ma siate seri, l’amore è meraviglioso e complicato”.

L’amore che brucia nelle parole dei poeti a diciassette anni. L’amore di Leopardi. L’amore di Saffo. L’amore di Priamo, re di una città splendida e diroccata, per i suoi figli. L’amore del papà e della mamma, dei nonni, avvinghiati all’inesplicabile. L’amore di chi ha visto crescere una bambina nelle foto, col primo dentino, con la prima gita, fino all’ultimo scatto della scientifica.

Ma questa è Carmela che scrive i suoi sogni. Non quella, col sangue, sulle scale, coperta da un telo. Questa è Carmela che aveva un banco bellissimo, accanto alla finestra, sul cortile. Lì, dove un gattino color bianco e miele miagola. E fa compagnia al sole.

 


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