La fine ingloriosa | del Pd che tutto assolve - Live Sicilia

La fine ingloriosa | del Pd che tutto assolve

Altro che falchi e colombe. La paura del voto tiene viva questa fallimentare esperienza di governo.

PALERMO – Tutto perdonato. Ricordate i toni apocalittici della direzione del Pd di pochi giorni fa? I falchi contro le colombe a spingere per il voto anticipato? Il de profundis intonato da dirigenti di primissimo piano e l’aria da fine legislatura imminente? È bastato un weekend di conciliaboli per archiviare tutto. E siglare l’ennesima pace tra il Pd e Rosario Crocetta, che ha aperto le porte della giunta al suo trentasettesimo assessore, Baldo Gucciardi.

Ebbene sì. Il Pd sull’orlo di una crisi di nervi visto sabato 4 luglio, in una settimana ha ritrovato ottimismo e fiducia nel futuro, quella che nella direzione di dieci giorni fa solo un paio di dirigenti (lo stesso Gucciardi e Lupo) avevano ostentato. “Andare al voto, ovviamente, non è una vittoria per noi. Ma può essere lo strumento per dimostrare di essere ancora una classe dirigente. L’accanimento può essere pericoloso”, ragionava quel giorno Antonello Cracolici. Che ieri, benedicendo la pax con Crocetta e l’ingresso di Gucciardi in giunta, è tornato al suo vecchio mestiere di capogruppo.

Il governo era un fallimento per Fausto Raciti, solo otto giorni fa. Ieri è cambiato tutto. Eppure a Palazzo d’Orleans siede ancora il primatista dei bluff della politica, il presidente protagonista di una disgraziata stagione di malgoverno certificata dal suo stesso partito. Che indulgente, ancora una volta lo assolve.

I falchi sono diventati colombe, anzi passerotti, in un amen. E tutti i dirigenti del Pd convinti che era tutto sbagliato e tutto da rifare, hanno ritenuto sufficiente garanzia per una rivoluzione copernicana il miracoloso ingresso in giunta di Baldo Gucciardi. Che certo è un politico capace e una persona perbene che gode di stima bipartisan, ma non risultava, almeno fino a ieri, essere Padre Pio.

Il punto è politico, ragionano nel Pd. Crocetta si è piegato. I suoi no, i suoi diktat contro i politici in giunta sono tramontati. Ora è il Pd a commissariarlo, a strappargli di mano il volante, gongolano i democratici. Una favoletta che per la verità i dem si raccontavano anche alla fine dell’anno scorso quando nacque il Crocetta ter, che doveva essere quello della fine delle bizze solitarie del governatore e della concertazione con i partiti. Pia illusione, sfociata in un ennesimo fallimento. Che è il fallimento della Sicilia tutta. Dei commissariamenti senza fine delle Province, della formazione al collasso, dei conti dal profilo greco, delle riforme sempre annunciate e mai varate, di una Istituzione-Regione ridotta a macchietta sui media nazionali.

Quel fallimento, denunciato dallo stesso Pd ad alta voce solo pochi giorni fa, oggi lo stesso Pd lo perdona. Al mercato delle indulgenze, il prezzo della clemenza stavolta è quello di una poltrona pesante come quella di Lucia Borsellino, che malgrado i suoi allarmanti commenti sui problemi “etici” del governo, è stata archiviata alla stregua di un incidente di percorso dal partito della “questione morale”.

Ma perdonare Crocetta per il Pd vuol dire auto-assolversi. Perché sul fallimento del governatore ci sono le firme di un partito intero e della sua classe dirigente. Tenuta insieme da un collante solo, neanche troppo celato: la paura del voto. I deputati, per la gran parte, di andare alle urne non volevano saperne. Non c’era una candidatura, un progetto, nulla. “Non vedo dei Maradona in giro”, ha sintetizzato efficace Antonello Cracolici. Con buona pace di Davide Faraone, che sembrava avere altri piani. La paura di perdere ha avuto il sopravvento.

Ora, dopo l’ultima indulgenza, i democratici hanno due anni per tentare di offrire alla Sicilia una parvenza di governo, rendendo inoffensivo Crocetta e cercando di portare a casa qualche risultato. E magari per tentare le elezioni anticipate l’anno prossimo col benestare di Roma, non prima aver garantito uno strapuntino al politico gelese per permettergli un’uscita di scena dignitosa. Sempre che tra una settimana qualche temeraria sparata del governatore non ributti tutto in caciara, spezzando l’ennesima illusione di Raciti, Faraone e compagni di averlo commissariato. “Al timone, ora siamo al timone”, commentava ieri il segretario del Pd, secondo una ricostruzione di Repubblica. Peccato che la nave intanto sia già bella che affondata.

 

 


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