Cos’è che spingeva Orazio ad andare in mare da vecchio? Lo spingeva il mare. Niente altro. Se sei pescatore, se tuo padre era pescatore, se tuo nonno era pescatore, il mare non è uno sfondo che puoi mettere da parte nello scatolone dei paesaggi eventuali. Ragioni e senti come il pesce che hai appena pescato, con l’appartenenza a qualcosa che non conosci mai del tutto, ma che conosce te.
Lo piangono, al porticciolo di Isola delle Femmine, Orazio Aiello che è uscito con la barca a cui aveva dato il nome di una nipotina e non è più rientrato. Adesso è lì, tirata in secco, orfana. Cosa rimane di una barca senza la mano che la governava, senza il vento che la benediceva?
Cristian, il figlio, ha conservato di suo padre il berretto e la catenina al collo. Racconta: “Non è stata una vita semplice quella di papà. Aveva già perso una figlia. Era un pescatore. Aveva raccolto i soldi per aprire un ristorante, ma era tornato in acqua. Ogni tanto si piazzava qui, sul molo, e guardava lontano. Papà, che guardi? Non mi sentiva nemmeno. Era un padre severo e affettuoso, uno splendido nonno. Un capofamiglia che si godeva i figli e i nipoti. E’ morto nel suo mare, a settant’anni”. Cristian bacia la catenina, mentre parla. Sfiora il berretto con reverenza, come se fosse un’ostia nel suo tabernacolo.
Ci sono gabbiani da cartolina al porticciolo di Isola e facce che raccontano lotte di giorni interi con il sale, quando la luce ti abbaglia e scotta. “Siamo distrutti – dice il figlio – io riesco appena a reggermi in piedi. Papà era stato imbarcato per anni. Era stato arruolato nel battaglione San Marco. Amava il mare e non riusciva a starne distante. Di mattina, con la pioggia e col sole, si alzava per pescare”. Per amore e per aiutare la famiglia. Orazio Aiello era un capostipite fiero del suo ruolo. Aveva imparato presto l’arte della rete e i nomi dei pesci. Si concedeva lampi di dolcezza, ma possedeva la scorza di chi sa che i pescatori non hanno una esistenza leggera, neanche nelle canzoni.
Sul porticciolo c’è Stefano Bologna, sindaco di Isola. Uno che lavora per la sua comunità, figlio e nipote di pescatori. “Ecco, guarda qua. Questo è il libretto di mio nonno, Stefano, come me, quando pescava in Alaska. Pure l’altro nonno, Michele, era partito per l’America con gli stessi obiettivi. I nonni acchiapparono tanti salmoni sul fiume, infine si spostarono sull’oceano” E dalla tasca del sindaco sbuca un libretto dell’Alaska fisherman’s union. Copertina arancione, chiaramente c’è un pesce. Un’altra reliquia da sfiorare religiosamente. I pescatori lo sanno come è profondo il mare. “Qui ci diamo da fare – spiega il sindaco Bologna – per valorizzare quello che abbiamo. E abbiamo soprattutto il mare, la nostra bellezza e la nostra forza. Dobbiamo tornare alle origini”.
Toti Lucido, presidente del Consorzio generale della pesca artigianale si mette in posa per una foto accanto alla statua dell’uomo con la rete in piazza. “Ci sono tanti problemi e tanta voglia di fare – spiega -. Il pesce di Isola è il migliore. Ma ci vuole una politica comunitaria adeguata che valorizzi la tradizione e la cultura. Vogliamo soltanto che i pescatori possano vivere e lavorare onestamente”.
“Orazio – aggiunge Toti, che è una delle memorie storiche del luogo – era stato proprietario con il fratello di due barche. Poi aveva investito nell’attività di ristorazione. Era legatissimo al mare e c’era tornato, acquistando un’altra piccola imbarcazione chiamata come la sua sua adorata nipotina. Quando poteva, faceva una pescatina a polpi e calamari”.
Sul porticciolo ci sono le famiglie della costa, declinate per dinastie: i Nevoloso, i Lucido… Angelo Nevoloso ha settantadue anni. Dà una mano al figlio a terra. “Non potrei smettere di farlo – dice – perché la pesca è la cosa più importante che ho”. Va per mare Orazio Lucido, nonostante i suoi ottantasette anni. Si industria col mare Benedetto Nevoloso che è anche consigliere comunale. Salvatore, che ha lo stesso cognome, sistema il pescato con mano sicura.
Hanno tutti facce che sono mappe. Sulla terraferma se la cavano, nell’infinito sono draghi. Sono i pescatori di Isola, ogni giorno sono in mare con qualunque tempo. E raccontano storie che sono favole.
La storia di Sarino che usciva con la barca, ma non ne aveva bisogno, a ottantacinque anni. Le biografie dei padri e dei nonni che insegnarono ai bambini la pesca. E quei bambini, adesso, sono qui, sessant’anni dopo, sentinelle che rispettano una consegna.
E ci sono le foto di Orazio che non è più tornato. Sull’uscio della sua bottega, a tavola con la donna che amava e da cui era amato, con le mani rotte a prendere il secchiello e gli attrezzi necessari alla sua fatica. Ogni tanto, si metteva qui, sul molo, per scrutare lontano. E quando qualcuno gli diceva: “Orazio, guarda quella barca come è rovinata”, lui rispondeva così: “Se possono morire i figli, pure le barche possono morire”.