Riceviamo e pubblichiamo un ricordo di don Luigi Sturzo, a 60 anni dalla sua morte, del vicepresidente della Regione siciliana Gaetano Armao.
É un anno particolare il 2019 per ricordare lo straordinario apporto di Don Luigi Sturzo alla politica ed alla cultura in Italia. A gennaio abbiamo celebrato, infatti, i cento anni dell’”appello ai liberi e forti” che offriva le fondamenta culturali e spirituali per la nascita del Partito popolare italiano. Un’esperienza di impegno politico che, cresciuta in Italia, grazie alla sua dedizione si é poi propagata in Europa ed oggi costituisce la prima famiglia politica del Parlamento europeo
Ricorrono adesso i sessanta anni dalla sua morte, avvenuta a Roma, nella casa delle suore Canossiane di Via Don Orione, l’8 agosto del 1959.
Sturzo riuscì a coniugare l’apostolato religioso e l’impegno politico, pagando di persona la sua ostilità al fascismo ed alla dittatura con l’esilio a Londra e poi a New York, durato ventidue anni. Al ritorno da quell’esilio sarà protagonista, insieme a De Gasperi, della fondazione della Democrazia Cristiana, ma soprattutto della nascita dell’autonomia siciliana e dello Statuto.
Aveva lasciato la Sicilia nel lontano 1920, dopo quindici anni alla guida del Comune di Caltagirone quale pro-sindaco e l’elezione a segretario del PPI, ma la lontananza non lo distaccò mai dai problemi della sua terra che continuò a seguire e ad affrontare con scritti e discorsi volti a tutelare le ragioni del Sud, le sorti dell’Isola ed a sostenere l’ansia di riscatto dei siciliani.
Determinate per carisma e ruolo politico fu il suo il contributo all’elaborazione e, sopratutto, all’approvazione da parte dello Stato dello Statuto di autonomia della Sicilia.
Può dirsi con ragionevole certezza che senza il suo contributo la Carta fondamentale dei siciliani non avrebbe visto la luce, sicuramente non nella sua versione originaria, nei caratteri di spiccata autonomia finanziaria che la connotano e per la quale ancora oggi pretendiamo la piena attuazione, purtroppo sempre negata dallo Stato centrale.
Ma il sostegno all’autonomia siciliana, ai suoi primi passi non fu esente da moniti e critiche.
Sopratutto quando egli intravide nel nascente centralismo burocratico e nelle derive dell’impresa pubblica alcune storture e patologie che contestava al Governo nazionale. Egli guardava alle istituzioni regionali come strumento per lo sviluppo e la crescita economica e sociale e non quali strutture funzionali alla crescita del potere dei partiti, anche quando tali pratiche erano adottate dai suoi discepoli politici. La partitocrazia ed il centralismo, furono qualificati sempre e comunque, quali nemici della democrazia.
Mirabili le parole dell’ultimo “appello ai siciliani”, del 24 marzo 1959, pochi mesi prima di spirare. In quello che può essere considerato il suo testamento morale per i suoi concittadini Sturzo additava storture e vizi della politica siciliana, ormai tesa ad emulare quella romana (“non valeva la pena di istituire la Regione per fare una copia della inabilità amministrativa dello Stato italiano”), auspicando tuttavia un rilancio della Regione per ricondurla alla funzione di strumento per la crescita economica, sociale e culturale dei siciliani.
Quel messaggio è ancora vivo, sopratutto in una stagione di profondo ripensamento delle istituzioni regionali e di riforma dell’autonomia siciliana ormai iniziato. Questo anniversario della scomparsa di Sturzo costituisce quindi un’occasione per rilanciare il suo appello ad una Terra che vuol progredire, libera e autonoma, all’altezza della sua storia.
Come concludeva Sturzo, infatti, nell’appello la Sicilia: “ha in sé non solo possibilità politiche e morali per superare la crisi, ma ha tale potenziale umano e produttivo da vincere, volendo, la disoccupazione, la sottoccupazione e l’insufficienza dei redditi”.
Quel massaggio ancor oggi è rispondente ai bisogni dei siciliani e deve impegnarci tutti, a partire da coloro che hanno responsabilità istituzionali, passando per insegnanti, imprenditori, professionisti, impiegati, casalinghe, giovani ed anziani, a riappropriarci del nostro destino.
Solo una Regione efficiente, innovativa, riformata, infatti, potrà dare risposte a quanto chiedono, con rinnovata urgenza, un futuro migliore, un lavoro, una vita dignitosa, di non dover emigrare per sperare in un futuro.