PALERMO – I precedenti penali ci sono e ci sono pure le parentele mafiose del marito, ma da soli non bastano per fare scattare l’interdittiva antimafia nei confronti di una imprenditrice. Il Consiglio di giustizia amministrativa ribalta la decisione del Tar di Catania e dà ragione a una donna – A.C.L. sono le sue iniziali – titolare di un’azienda agricola a Tortorici, in provincia di Messina. La prefettura aveva
stoppato il via libera alla concessione di un terreno comunale da adibire a pascolo.
Ribaltata la decisione di primo grado
Il Cga ha accolto il ricorso della difesa rappresentata dagli avvocati Girolamo Rubino e Calogero Marino sia sotto il profilo cautelare che nel merito. I legali hanno sostenuto “l’erroneità della sentenza di primo grado nella misura in cui il giudice aveva omesso di considerare il fatto che il provvedimento interdittivo non contenesse alcun elemento pregiudizievole a carico dell’appellante, basandosi soltanto sul fatto che il coniuge fosse stato destinatario diversi anni addietro di procedimenti penali e che dunque il provvedimento interdittivo fosse fondato su circostanze fattuali estremamente risalenti nel tempo e prive del doveroso requisito dell’attualità”.
Le vicende giudiziarie parallele
La donna nel 2011 aveva subito una sanzione amministrativa legata alla concessione di alcuni finanziamenti pubblici. Il procedimento era partito con l’accusa ben più grave di truffa aggravata. Il marito invece all’inizio degli anni Novanta è stato condannato a dieci mesi per una truffa legata alla concessione di finanziamenti per l’agricoltura. Ed è sempre di 10 mesi la condanna inflittagli nel 2001 dal tribunale di Caltagirone per “introduzione di animali nel fondo altrui”. Nel 2020 è stato condannato dal tribunale di Patti a un anno e mezzo di reclusione sempre per truffa ed è in corso il processo di appello.
La mafia dei pascoli
C’è il capitolo che riguarda la cosiddetta “mafia dei pascoli” che imperversa sui Nebrodi. Secondo la prefettura di Messina, il marito dell’imprenditrice “pur non direttamente coinvolto nell’ambito della
indagine ‘Nebrodi’, risulta pienamente inserito in un contesto familiare e relazionale fortemente permeabile ad influenze e condizionamenti della criminalità organizzata mafiosa”. In particolare due suoi nipoti sarebbero legati alla potente famiglia mafiosa Bontempo Scavo. Infine diversi familiari dell’uomo sono sotto inchiesta per truffa aggravata. Tutto vero, ma non basta per fare scattare l’interdittiva antimafia nei confronti della donna che al contrario è incensurata.
La sentenza del Cga
Nella sentenza emessa dal Cga presieduto da Fabio Taormina, giudice estensore Antimo Prosperi, si legge: “Non emergono dal decreto prefettizio contestato concreti elementi da cui risulti che l’attività d’impresa sia condizionata dalla mafia e che possa agevolare attività l. criminose. Né appare sufficientemente sostenuto l’assunto dell’amministrazione secondo cui: ‘il marito, per quanto non
rivesta alcun ruolo formale nella azienda della moglie, di fatto partecipa alla gestione alla stessa intestata”.
Ed ancora: “Non emergono elementi sintomatici o indizianti concreti, anche considerando i precedenti penali della appellante e del coniuge (che sono in sostanza venuti meno per la titolare
dell’attività interdetta e si sono sensibilmente ridimensionati per il coniuge con le sentenze di appello).
La prognosi sul pericolo di infiltrazione mafiosa non appare fondata su indizi gravi, precisi e concordanti, tali da far ritenere (alla luce del consueto canone del ‘più probabile che non’) il pericolo che l’impresa
abbia una conduzione collettiva e una regìa familiare ovvero che le decisioni sulla sua attività possano essere influenzate, anche indirettamente, dalla mafia attraverso la famiglia, o da un affiliato alla mafia mediante il contatto col proprio congiunto”. Da qui la decisione di dichiarare illegittimo il provvedimento emesso dalla prefettura di Messina.