La maledizione del cerchio magico | Quel parlare per conto di Crocetta - Live Sicilia

La maledizione del cerchio magico | Quel parlare per conto di Crocetta

Dopo la notizia dell'indagine su Anna Rosa Corsello il governatore ha reagito con rabbia: "Non ne sapevo nulla, adesso basta". Ma i casi di persone vicine a lui coinvolte in inchieste giudiziarie iniziano a diventare troppi. E sono la prova di un fallimento. Musumeci: "Monterosso dovrebbe lasciare".

 

PALERMO – Nessun fatto, tra quelli finiti al centro dell’inchiesta, prova che Rosario Crocetta nella vicenda che ha travolto Anna Rosa Corsello c’entri in alcun modo. E la sua reazione, con tanto di querela minacciata un po’ alla cieca, pare anzi dimostrare la sorpresa. Una sorpresa che si è tradotta in rabbia, stando al racconto di chi gli è più vicino. Stavolta il governatore afferma di essersi stancato, di non aver nessuna voglia di perdonare. “Con me, chi sgarra è fuori”, avrebbe detto. Ma quella sorpresa, se non è certamente dimostrazione di reato, ha un suo significato politico, amministrativo. È la prova di un fallimento.

Crocetta non c’entra. E a dire il vero ancora bisognerà dimostrare che le stesse accuse alla dirigente Corsello siano fondate. In tribunale. Al momento, è indagata, sebbene l’operato di pm e Fiamme Gialle abbia già consentito di raccogliere testimonianze e materiale per sostenere questa accusa. Tanto da aver disposto una sospensione immediata, poi “ratificata” da Palazzo d’Orleans, di quella dirigente della quale Crocetta si fidava ciecamente. Al punto da metterla a capo di due dipartimenti delicatissime e di affidarle la liquidazione di due grosse società partecipate. Una burocrate che, stando a quanto hanno raccolto gli inquirenti, per incoraggiare i dirigenti del Formez ad assumere sei dirigenti, avrebbe fatto notare che l’operazione stava molto a cuore anche al presidente Crocetta.

L’indagine adesso ovviamente proseguirà, provando a diradare i dubbi. In altre inchieste che riguardano Anna Rosa Corsello, però, siamo un po’ più avanti. L’indagine per peculato sull’uso disinvolto da parte della burocrate dell’auto blu andrà a sentenza tra poco più di un mese. Mentre procede l’inchiesta sugli extrabudget che in sede contabile ha portato già alla condanna di Patrizia Monterosso, Segretario generale e da sempre vicino alla Corsello. La burocrate che avrebbe “spinto” per sei assunzioni di dirigenti regionali usando il nome proprio della Monterosso e di Rosario Crocetta. Che dice di non sapere nulla. E ha diritto di non sapere nulla. Di tirarsi fuori.

Ma iniziano a diventare un po’ troppe. Dalla Corsello alla Sanità, passando per Sicilia e-Servizi, in tanti hanno parlato a nome e per conto del governatore. All’insaputa di tutto, e bisogna credergli. Ma è sufficiente?

Perché in questi anni la legislatura è stata costellata dagli annunci moralizzatori di Rosario Crocetta. Dal suo impegno apparentemente feroce contro ogni forma di manciugghia, spreco, privilegio e malaffare. Un impegno tale da aver trasformato in fatti mediaticamente centrali, piccole e non sempre chiarissime storie di Regione, come nel caso dello “sputtanamento” di un dirigente che portava la “colpa” di un parente in odor di mafia. O quella riguardante qualche viaggio in Canada di dipendenti regionali, o qualche peccatuccio venale di deputati poi tirati pure dentro la sua giunta. L’arte del perdono, direbbe Crocetta. Ma la battuta non basta più.

Perché una Regione va innanzitutto amministrata. E, soprattutto se si spaccia a ogni angolo di Sicilia l’idea di una rivoluzione, bisogna essere in grado di compierla. Cominciando, magari, dalla scelta degli uomini da mettere al proprio fianco. Quelli su cui puntare. Crocetta, insomma, perdoni chi vuole, ci mancherebbe. Ma le nomine alla Regione, da cui passa spesso il destino di tanti siciliani, sono un’altra cosa. Stanno su un altro piano. Hanno un diametro più ampio di quello del cerchio magico del presidente.

Un cerchio sempre più deformato dalle inchieste giudiziarie. Che siano giudici ordinari, contabili, amministrativi, gli “schiaffi” continuano ad arrivare. Mentre fedelissimi della prima ora prendono le distanze da quel governatore che, insieme a loro, avrebbe dovuto finalmente compiere una rivoluzione alla quale nessuno – e forse nemmeno lo stesso Crocetta – crede più.

Perché si può pure cadere dalla sedia di fronte alle accuse rivolte a Dario Lo Bosco, presidente di Rete ferroviaria. Accuse gravissime, e anche queste da acclarare in un’Aula di tribunale. Ma resta il fatto che quel manager, da anni era uno dei preferiti del presidente, nonché della Confindustria siciliana, ancora non lacerata dalle faide interne. Un manager confermato dal governatore, a più riprese al vertice dell’Azienda siciliana trasporti. Quella alla quale, per intenderci, Crocetta sognava di “mettere le ali”. Crocetta non poteva sapere, ovviamente. Non poteva prevedere che Lo Bosco sarebbe finito ai domiciliari. Si è fidato, probabilmente. E non gli è andata bene.

Un po’ meno “estraneo” alle vicende, invece, appare il presidente se si entra nel “groviglio” della Sanità siciliana. E no, l’intercettazione fantasma non c’entra. E sarebbe meglio forse che anche il presidente, al netto del suo sacrosanto diritto di difendersi da accuse che ritiene infondate (supportato, a dire il vero, dalle Procure siciliane), metta da parte per un po’ quella storia, rilanciata pure due giorni fa nell’arena di Sala d’Ercole. E magari inizi a raccontare un po’ meglio come fosse possibile non accorgersi dell’operato negli ospedali pubblici del suo medico personale Matteo Tutino, o di uno dei suoi manager preferiti Giacomo Sampieri. Il primo finito ai domiciliari (e inquietante appare la circostanza che proprio nel giorno dell’arresto l’ex primario abbia deciso di telefonare al presidente), il secondo indagato per la gestione dell’ospedale Villa Sofia-Cervello. Ma ancora di più, il presidente dovrebbe spiegare quello come mai i pm, nel descrivere l’escalation di Tutino, facciano riferimento ai “suoi rapporti particolarmente privilegiati con il presidente della Regione onorevole Rosario Crocetta, sbandierati coram populo al fine di affermare la sedicente investitura di purificatore della sanità siciliana della quale sarebbe attributario per volontà politica”. Anche Tutino, a torto o a ragione, avrebbe utilizzato il nome del governatore per facilitare il proprio operato. Questo scrivono i magistrati. Ed è facile rivedere la vicenda Corsello in questa storia. Se non fosse per le altre intercettazioni in cui si fa riferimento persino a liste di manager della Sanità concordati anche con altri medici, e sottoposti all’attenzione del presidente in confermati appuntamenti a Palazzo d’Orleans. È normale?

Questo dovrebbe spiegare Crocetta. Insieme ai veri motivi dell’addio di Lucia Borsellino, senza trincerarsi dietro la fumosa giustificazione del “finto dossier” mostrato a un assessore che ha rivelato di collaborare da mesi con le Procure per far emergere certi aspetti oscuri della Sanità siciliana. Che Crocetta ha diritto di non conoscere. Ma fino a un certo punto. Perché la rivoluzione è sua. E implica anche l’onere di scegliere i collaboratori che possano fare il bene della pubblica amministrazione. All’apice della quale, il governatore tiene senza imbarazzo un dirigente esterno e condannato dalla Corte dei conti per un danno erariale milionario come Patrizia Monterosso.

Il governatore poi, sempre a causa di strane assunzioni (dalle carte emerge ancora una volta la presunta “rassicurazione” ai “ragazzi di Sisev” sulle imminenti contrattualizzazioni), ha subìto un procedimento contabile, in compagnia di Antonio Ingroia, chiuso per difetto di giurisdizione, mentre procede quello della Procura ordinaria. Mentre, insomma, iniziano a diventare tante e troppe le ombre. Come quelle sollevate già da tempo, dall’ex assessore Nicolò Marino (“L’antimafia di Crocetta è una finzione”). O le ultime, raccolte nelle accuse durissime di un ex fedelissimo come Alfonso Cicero che ha parlato di “richieste indicibili” del governatore. Che ha reagito come nel caso della Corsello. Minacciando querele. “Io non so di cosa stia parlando” si è difeso. E ha diritto di non sapere. Ma se è così, resta l’altra strada. Crocetta, che ha affermato di possedere persino un “fiuto sbirresco” per il malaffare e la manciugghia, non si è accorto nemmeno di quello che gli accadeva attorno. Nella sala a fianco. Tra le persone che incontrava ogni giorno. Un fallimento. Personale che diventa tragicamente amministrativo. In quella Sicilia che appare assai più ampia del suo ristretto e sempre più ammaccato cerchio magico.


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