La "messinscena" del figlio |dopo l'omicidio della madre - Live Sicilia

La “messinscena” del figlio |dopo l’omicidio della madre

L'omicidio di Maria Concetta Velardi al cimitero: la ricostruzione degli investigatori.

CATANIA – Le tracce del dna di Fabio Matà trovate su due delle unghie della madre Maria Concetta Velardi, uccisa a colpi di pietra il 7 gennaio 2014 al cimitero di Catania, sono una delle prove chiave che hanno portato all’arresto del militare con l’accusa di omicidio. Le indagini della Squadra Mobile sono state meticolose, certosine e articolate. Fondamentali per l’inchiesta gli esami della Polizia Scientifica su una miriade di reperti trovati sulla scena del crimine e anche sulle tracce biologiche rivenute sul vialetto del camposanto di Catania in cui la vedova ha trovato la morte. Per la polizia il figlio della Velardi dopo l’omicidio ha organizzato e strutturato una messinscena tale da costruirsi un alibi. Che però è risultato troppo debole.

La pietra di lava

TRAMORTITA, TRASCINATA E UCCISA – Gli investigatori della sezione Omicidi della Squadra Mobile trovano Maria Concetta Velardi riversa supina sull’asfalto in una stradina delimitata da alcune cappelle, accanto al capo due grossi massi di pietra lavica. “Si tratta di pietre di 23 e 18 chili”, spiega Antonio Salvago, dirigente della Mobile ai cronisti. “Per questo – spiega – abbiamo immediatamente capito che l’assassino doveva essere un uomo di una certa consistenza fisica, che doveva essere capace di caricare questo tipo di peso”. Le prime attività tecniche fanno capire ai poliziotti che la vedova era prima stata tramortita con una pietra più piccola e poi trascinata fino al vicolo dove poi le hanno fracassato la testa e il torace. Vano il tentativo della donna di parare i colpi: dall’autopsia è emerso che aveva diverse fratture al braccio con cui, forse d’istinto, si era riparata. Dall’esame del medico legale Giuseppe Ragazzi emerge un altro dato inquietante: Maria Concetta è morta dopo un’agonia di almeno 45 minuti.

Il corpo nel vialetto

L’ORA DEL DECESSO E LA MESSINSCENA DEL FIGLIO.  L’autopsia fissa l’orario del decesso tra le 15.30 e le 15.45. “In quel lasso di tempo abbiamo elementi che provano che Fabio Matà era all’interno del cimitero”, spiega ancora Antonio Salvago. E’ questo il primo dato che smonta le dichiarazioni dell’arrestato, che appena sentito racconta di essersi allontanato intorno alle 17 per andare al bar a prendere il caffè e dopo il suo ritorno ha fatto la macabra scoperta. Ma i controlli incrociati delle celle dimostrano che il figlio della Velardi non è andato solo al bar, salutando i clienti in maniera “insolita”, ma anche dal meccanico. Una stranezza, questa, visto che non vi è mai stata una chiamata all’officina per segnalare magari un guasto all’autovettura. Inoltre Matà si porta dietro il cellulare della madre. “Un altro fatto anomalo, perché lui era solito chiamare spesso la madre quando si trovava al cimitero. E inoltre era solito non lasciarla mai da sola. Caso vuole – afferma il capo della Mobile – che quel giorno si comporta in modo diverso rispetto alle sue abitudini”.

La pietra con cui la Velardi sarebbe stata tramortita

LA CHIAMATA AL 118. Non è stato Fabio Matà ad allertare le forze dell’ordine. E nemmeno il custode del cimitero, come era emerso da una prima ricostruzione dell’omicidio. A chiamare il 118 è una signora che usa il telefono di Matà. “C’è una donna riversa piena di sangue”, dice la donna mentre in sottofondo si sentono le urla disperate dell’uomo, oggi finito in manette. Il militare, sentito dagli inquirenti, ha raccontato che dopo la telefonata e dopo aver provato a spostare le pietre per rianimare la madre prende la macchina per cercare il custode e chiedere aiuto. Ma all’interno dell’auto non è stata trovata una sola goccia di sangue, ma la donna che ha telefonato per chiedere i soccorsi racconta di un cellulare intriso di sangue. Ancora contraddizioni.

GLI INDIZI E IL DNA. Non solo le pietre sono state analizzate ai laboratori della Scientifica, ma anche le tracce biologiche, i recipienti per innaffiare i fiori, il materiale trovato sulla tomba e anche sulla macchina di Matà. “Sulla portiera posteriore destra abbiamo trovato una piccola macchia di sangue – dice Salvago – dalle analisi della Scientifica è stato scoperto che si tratta di Dna di Matà misto a sostanza ematica della madre”. Per gli inquirenti potrebbe essere materiale biologico provocato da un graffio della vittima o da una ferita procuratosi con lo sfregamento delle pietre. “Da tutti i reperti analizzati sono stati riscontrate tracce di Dna della vittima e del figlio, di nessun altro”, spiega Alessandro Drago della Polizia Scientifica. “Su due delle unghie della mano destra della Velardi, infine, abbiamo trovato il dna di Fabio Matà”, aggiunge ancora Drago. E, come detto, sarebbe questo uno degli indizi schiaccianti. Quel ciuffetto di capelli trovato sulle mani della vittima? Prova secondo la difesa cruciale per l’inchiesta. I test della scientifica hanno determinato che si trattava dei capelli della stessa vittima. Ma non è il solo indizio che sbaraglia l’intera ricostruzione dei consulenti ingaggiati da Fabio Matà. I graffi sulla schiena della Velardi non sarebbero altro – secondo la Mobile – che i segni del trascinamento del corpo verso il viottolo del camposanto.

La traccia di sangue sullo sportello dell'auto

LE URLA. Una donna quel pomeriggio ha sentito delle urla. Lo ha raccontato agli inquirenti che per non lasciare aloni nella ricostruzione hanno svolto un’attività di estrema precisione. “Abbiamo analizzato frame dopo frame anche le immagini di video sorveglianza”, racconta Montemagno della sezione Omicidi. I poliziotti e la Scientifica sono andati a ritroso, guadando i filmati, per riscontrare i racconti della testimone e verificare se ci fosse compatibilità con l’orario del decesso emerso dall’autopsia. Le attività tecnico-scientifiche hanno portato a un risultato positivo. Per gli inquirenti quindi tra madre e figlio sarebbe scoppiata una lite, degenerata poi nel tragico delitto. A sentire le urla inoltre non è stata solo una donna, ma in totale tre persone.

IL MOVENTE. “Fabio Matà covava del rancore nei confronti della madre perché rappresentava un ostacolo per i suoi progetti di vita personale”. Non scende nel dettaglio Antonio Salvago quando spiega ai cronisti il movente che avrebbe portato l’indagato a uccidere Maria Concetta Velardi. “Dissidi personali”, aggiunge. Il militare di Maristaeli tra poche settimane si sarebbe sposato con la fidanzata che lo ha affiancato in ogni conferenza stampa e in ogni sopralluogo. Questa mattina i poliziotti sono andati nella casa di San Giovanni Galermo dove viveva con la madre e lo hanno arrestato. Tre anni dopo l’omicidio.

GLI ALTRI INDAGATI – Il dirigente della Squadra Mobile ha evidenziato che nulla è stato lasciato intentato nell’inchiesta che vedeva iscritte nel registro degli indagati altre quattro persone. I primi due uomini erano stati indicati dallo stesso Matà come persone che nutrivano interesse nei confronti della madre. “Ma l’indagine ci ha portato ad escludere in maniera netta il loro coinvolgimento”, spiega. Così come i due rumeni che entrano nell’indagine dopo un’intervista di una donna che li avrebbe visti in via Del Divino Amore, unica porta d’accesso al cimitero nel pomeriggio. E’ stato setacciato palmo a palmo un campo rom. Ma anche questa volta le indagini si sono concluse con un buco nell’acqua. Ogni indizio, traccia e sospetto ha portato in un’unica direzione: quella di un figlio che ha ucciso la madre.

 

 

 

 


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