Se la pazienza è l’oro di Napoli, la superbia è l’oro di Palermo. Ma in verità della Sicilia intera, tutta superba anche se con modi diversi di manifestarlo. La superbia si è generata perché il nostro essere isolani, quindi a parte, ha avuto bisogno d’essere compensato e gratificato. Ed anche perché, grazie alla Grecia, siamo stati noi siciliani ad avere distribuito nel mondo occidentale il Pensiero e la Bellezza. E noi abbiamo dato una lingua all’Italia, incaricando della distribuzione porta a porta un venditore eccezionale: il fiorentino Durante, nome subito abbreviato dai suoi genitori. Cognome: Alighieri. La parola superbia nasce dal latino super che vuol dire super e dal greco bios che vuol dire vita: vita superiore. Ci può bastare. Anche se si tratta di uno dei sette vizi o peccati capitali (perché fanno perdere il caput, la testa, quindi mortali) noi siciliani ne abbiamo fatto un armonioso abito mentale e, ormai, nessuno ci fa più caso, tranne i non siciliani nei quali suscita un timore reverenziale intellettivo che talvolta si traveste da critica sprezzante.
Con la mia non modica dose personale di superbia, e dai mille chilometri di lontananza dove mi ha portato da tempo la causa che suggerisce, poi, il lavaggio dei piatti, quando appresi della pantera di via Bronte a Palermo, capii subito. Né era possibile, da siciliano, non capire subito . Il mio pensiero corse a Nicoletta “‘a tri mutura”, una signora degli Anni ’60, così didascalicamente chiamata, in modo autoctono, per le sue molteplici disponibilità. Mi dissi: eccone un’altra che, per generosità, entra senza nascondersi nella storia di Palermo: la Pantera di via Bronte. Del resto l’intimo nero dona e acchiappa. E per esserne giunta la fama sino a me, m’immaginai il subbuglio civico che ne era sicuramente derivato. Immaginai l’affanno delle mogli ingelosite: “Tu da via Bronte non ci passi!” e la risposta imbelle dei mariti: “Ma è un felino…”, “Non mi interessa si avi i filini, tu non ci passi lo stesso!”. Mi stupii perché la squadra della “buon costume” non era intervenuta, ma allibii letteralmente quando lessi un titolo di giornale, a metà per via della pagina strappata: La Forestale va a p… (qui lo strappo). Ma dovetti ricorrere ad una dose elevatissima di acqua e zammù, che uso come tisana, quando trovai su un’altra copia il titolo intero: La Forestale va a pantere. Così lessi della pantera da civile abitazione e compresi. Poi tornai a riflettere. Certo, meno di una pantera come si fa? Come minimo.
Mi tornò in mente una storia sentita quasi trent’anni addietro: nel parco della Favorita ucciso un topo dalla polizia. Di 18 chili. Era vero? Un topo di 18 chilogrammi? Non so, però molto si parlò dell’ imbarazzo del Wwf che avrebbe promosso una colletta per la vedova. Che cos’era, dunque, una pantera a Palermo se non routine. Del resto, a Città del Capo non avevano avuto, per i Mondiali di Calcio, il polpo Paul e noi, invece, stabilmente la Piovra? Permettetemi, non c’è partita. Così, giorno dopo giorno, mi appassionai alla caccia alla pantera. Anche alla vicenda della foto poco intellegibile. Peccato, sembrava che non l’avessero presa per un pelo. Invece, per un pelo morì un’altra pantera. Per un pelo da analizzare e confrontare. Però il disturbo arrecato alla mia città mi faceva un po’ rabbia e sperai che anche in Africa, laggiù nella giungla, qualcuno si affannasse a cercare un animale sconosciuto e dallo strano verso. Da noi si chiamano cani di mànnara e abbaiano in siciliano. Ma in Africa non li capiscono e ne hanno paura, come noi delle pantere. E dire che nel siciliano albergano un po’.
Un esempio? Circa 40 anni addietro il leggendario ballerino russo Rudolph Nureyev si era esibito a Palermo e dopo avere alzato con magica armonia le sue membra nell’aere del teatro si recò al Mirage, il night cittadino. Quivi il suo gomito destro, ancora insoddisfatto, continuò ad alzarsi fin quando Nureyev, ubriaco, non lanciò il bicchiere verso una coppia sfiorando la signora. L’accompagnatore, palermitano, mostrò con garbo il proprio disappunto , ma il ballerino si infuriò: “Io sono Nureyev!”, “Chissà che mi pareva – replicò l’accompagnatore sorridendo – a Palermo siamo tutti Nureyev…” e con questa risposta lo dilaniò.
Ora la pantera sembra scomparsa. Non si sa più nulla. In verità a me è giunta una voce: qualche giorno addietro sembra che al porto di Palermo sia stata vista una donna in nero, dall’andatura basculante come in piedi per caso. Partiva per Tunisi. Qualcuno giura di averle sentito dire: “Non mi riconoscono e dunque non mi meritano”. Non voglio dire nulla, però che figura… Non abbiamo saputo custodire neanche una pantera usata.
P.S: Ora, caro lettore, l’argomento si fa delicato, quindi riserbo: è mai possibile che a Palermo, con la nota superbia, vi sia una pantera scappata? Suvvia no. Semmai latitante…