Un teatro, né più né meno. Un auditorium parrocchiale dedicato a un ragazzo morto undici anni fa. Qui, nel cuore della parrocchia Maria Santissima Madre della Chiesa, ieri, sono state vaccinate le persone che avevano fatto richiesta. La foto, scattata dall’infaticabile signor Nunzio, mostra il luogo un giorno prima, immerso nella suggestione di una misteriosa attesa. Non ancora zattera sanitaria, ma memoria di un teatro dimenticato dalle necessarie assenze. Popolato di fantasmi giocosi, non gli spettri che dominano i nostri incubi attuali. Sulla scena c’erano, una domenica pomeriggio, i ragazzi che interpretavano la saga di Peter Pan a uso e consumo dei parrocchiani più piccoli. Spingendo lo sguardo fin dove è reso possibile dallo scatto, li rivediamo. La tutina verde del bambino che non voleva crescere. Spugna con la pancia d’ordinanza. I voli di Campanellino. E chissà perché, in questa Pasqua del Covid, in un tempo che pratica soprattutto l’angoscia o l’indifferenza, mentre l’umanità somiglia a un’isola che non c’è più, nascosta dalle brume della pandemia, quel sorso di passato rincuora. “Spugna, versaci da bere”.
Telefona un amico per gli auguri pasquali e riporta quanto segue. Lui è uno che, potendo limitare le uscite, è uscito, appunto, il meno possibile. L’altra settimana ha fatto il vaccino alla Fiera del Mediterraneo. E racconta che, la mattina dopo, ha indossato la giacca che dormiva in un armadio da tanto. Perché dovrebbe interessarci un dettaglio estetico così marginale? Forse per nessun motivo. Forse, invece, un motivo c’è. Una giacca, triste come una bandiera ammainata, è tornata per accogliere un fugace raggio di sole dopo la punturina che promette il ripristino, a poco a poco, di una condizione di normalità. Non somiglia al fruscio delle ali di una minuta colomba bianca?
Che cos’è che ci manca della vecchia vita che ci sembra perduta per sempre ma non lo è? Ci mancano le uscite in pizzeria, le passeggiate (almeno per chi è prudente), i raduni che stiamo chiamando ‘assembramenti’ (almeno per chi è saggio), gli abbracci ai genitori e tra di noi, i baci, le relazioni? Tutte le presenti cose nella latitanza comunicano che ci mancano i corpi, nella misura in cui ogni contatto può diventare contagio. E’ un passaggio fondamentale che va contro la nostra identità e che diventa una battaglia da combattere per riprendere noi stessi in sicurezza. Manca il corpo per esprimerci con una naturalezza che, adesso, ha il viso sfuggente di una chimera. Ma lo riavremo e dovremo ricordarci dei momenti terribili che abbiamo passato, per avvicinarci di più.
Ci sono segnali di rinascita in una Pasqua del Covid? Una giacca o un teatro offrono qualcosa, oltre le parole? La speranza non è una merce facile da tenere in magazzino: pretende il controllo di qualità della consapevolezza. Girarsi dall’altra parte significa dimenticare, non sperare, e mettersi fuori dalla cittadinanza di una dolorosa esperienza comune. Nella concretezza, ci sono i vaccini, con le complessità che sappiamo. L’anno scorso non c’erano. Dunque, ecco un fatto materiale che ci permette di coltivare ragionevoli aspettative. Ma è nel nostro cuore che si decide tutto, perché è il nostro cuore che deve decidere che sappiamo restare umani con qualunque tempo.
Torniamo, con il pensiero, a quel teatro parrocchiale che gli amici di un ragazzo prematuramente scomparso, grazie alla affettuosa sensibilità del parroco, padre Raffaele, hanno voluto dedicargli. I ragazzi di una volta hanno messo su famiglia e in qualche caso pancia, ma non sono cambiati. E camminano spesso, passo dopo passo, verso quel teatro e quella parrocchia, con l’aria di chi ha capito l’essenziale. Impariamo la lezione che hanno imparato. La pioggia e il sole conducono verso stagioni differenti. Ma nessuna resurrezione è impossibile.