"La pax mafiosa tra i clan catanesi |continua a reggersi su basi instabili" - Live Sicilia

“La pax mafiosa tra i clan catanesi |continua a reggersi su basi instabili”

Gli equilibri del contesto criminale etneo sarebbero più precari di quanto possano apparire. E' questa la fotografia che emerge dalla relazione della Dia sull'attività del secondo semestre 2014 presentata al Parlamento nei primi giorni di settembre.

CATANIA – “Gli equilibri nel contesto criminale etneo sono più precari di quanto possano apparire”. Insomma, la “pax mafiosa” siglata dalle cosche catanesi sarebbe traballante. Questo nuovo punto di osservazione sulla mafia catanese è offerto dal Viminale nella relazione sulle mafie e la criminalità organizzata elaborata grazie alle attività del secondo semestre 2014 della Direzione Investigativa Antimafia. Questa fibrillazione, si legge nel testo illustrato al Parlamento i primi di settembre, sarebbe dovuta alla “recente volontà di esponenti dei clan maggiori di accreditarsi nei confronti dei responsabili dei mandamenti più rappresentativi di cosa nostra palermitana, quali nuovi referenti di cosa nostra catanese”. Riccardo Lo Verso, nel mensile S, racconta tutti i retroscena di questi tentativi di “contatti” con la cupola.

I clan catanesi a cui si fa riferimento sono i Cappello-Bonaccorsi e i Laudani. Non stupiscono i rapporti tra i Cappello e i palermitani. Dalle rivelazioni anche del collaboratore di giustizia Gaetano D’Aquino erano stati scoperti “dialoghi” tra i Graviano e la frangia dei Carateddi guidata dal killer e capomafia Sebastiano Lo Giudice, detenuto al 41 bis. Per i Mussi i Ficurinia (i Laudani) il ponte con Palermo non è così ben delineato: nel processo a carico di Sebastiano Scuto si fa cenno a dei presunti collegamenti con la compagine dei Lo Piccolo. Ma quello che la Dia sostiene è che “alcuni esponenti dei maggiori clan di Catania tentano di accreditarsi come nuovi referenti di cosa nostra catanese – con fughe in avanti – presso i responsabili dei mandamenti palermitani”. Dalla fine del 2014, dunque, da Catania ci sarebbe una battaglia per “conquistare” il trono di “padrino” di Catania. E la strada per essere incoronato non sarebbe quella armata ma quella del “placet” proveniente direttamente dalla nuova Commissione di Cosa nostra.

Ma la “quiete” potrebbe essere solo temporanea. Lo si deduce da un passaggio importante della relazione della Dia. Si legge infatti che è un dato da non sottovalutare “il sistematico rinvenimento nella città etnea di arsenali di armi, anche da guerra” e aggiunge che questo “non fa altro che confermare che la pax mafiosa, ormai da tempo esistente continua a reggersi comunque su basi instabili”.

Sul rinvenimento di armi è d’obbligo un passaggio però. La Dia (nelle note a piè di pagina) elenca le operazioni delle altre forze di polizia a cui fa riferimento. La prima è quella dei carabinieri di fine settembre 2014, quando grazie alle rivelazioni del pentito Davide Seminara si scopre nel quartiere di Librino il nascondiglio di un arsenale da fare invidia a un esercito. Ma quelle armi sono riconducibili al gruppo dei Nizza, organico del clan Santapaola Ercolano. La Dia, dunque, mette in relazione i “passi in avanti” di qualche esponente dei maggiori clan con la “scoperta di arsenali” riconducibili alla famiglia dei Santapaola. A questo punto alla porta dei mandamenti palermitani potrebbe anche aver bussato “l’erede” dello zio Nitto, storicamente con un posto “d’onore” al tavolo della Cupola palermitana. Capire chi siano i “boss” che stiano tentando l’ascesa non è semplice, perchè in questo momento i “capi” sono relegati nelle carceri. Risulta latitante al momento Andrea Nizza, ritenuto al momento il vertice del gruppo santapaoliano di Librino. Mentre per San Cristoforo (sempre clan Santapaola) è ai domiciliari per motivi di salute Rosario “U Russu” Lombardo. Ultimamente un neo collaboratore di giustizia ha affermato che a casa del boss ci sarebbero stati all’inizio del 2015 dei summit mafiosi.

Per la Direzione Investigativa Antimafia, a parte questi “focolai asintomatici” dovuti ai tentativi di contatto con Palermo, Cosa nostra catanese gestisce i propri affari in maniera silenziosa, eccetto nel triangolo tra Paternò, Adrano e Biancavilla. In linea con quanto esaminato dalla Direzione Nazionale Antimafia nei mesi scorsi, anche la Dia fotografa questa parte della provincia etnea come un territorio dove “una mutazione degli equilibri si è tradotta in azioni violente”. Qui “permane – si legge ancora – una situazione di forte fibrillazione, a seguito di una conflittualità interna al clan “Toscano-Mazzaglia” che ha determinato una serie di omicidi, limitati, dalla costante attività investigativa” e dalle operazioni di Carabinieri e Squadra Mobile di Catania.

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