La penultima del Bellini |Omaggio a Verdi - Live Sicilia

La penultima del Bellini |Omaggio a Verdi

La vicenda è la immortale e mai troppo vecchia storia del tradimento coniugale. L’azione si svolge a Salisburgo e Baviera nei primi dell’Ottocento.

CATANIA – Nel duecentesimo genetliaco di Giuseppe Verdi, il Teatro Massimo Bellini di Catania dedica la penultima opera della stagione “lirica e dei balletti” 2013 a Stiffelio, melodramma in tre atti, rappresentato per la prima volta nel 1850 al Teatro Grande di Trieste, libretto di Francesco Maria Piave, tratto dal dramma Le Pasteur, ou l’Èvangile et le foyer di Souvestre e Bourgeois, nell’edizione critica della University of Chicago, a cura di Kathleen Kuzmick Hansell.

La vicenda è la immortale e mai troppo vecchia storia del tradimento coniugale. L’azione si svolge a Salisburgo e Baviera nei primi dell’Ottocento. Stiffelio è un pastore protestante che, perseguitato dal cattolico Impero Austro-Ungarico, si rifugia nel castello di Stankar sotto falso nome e quindi ne sposa la figlia Lina. Raffaele von Leuthold, nobilotto e dongiovanni, invaghito di Lina, denuncia Stiffelio che parte per dedicarsi alla predicazione. A questo punto, il “german lover” dopo varie insistenze e grazie soprattutto alla assenza del marito, seduce la affranta moglie, ma… Stiffelio ritorna al castello accolto con onori e apprezzamenti da tutti tranne dalla adultera, che mostra tutto il suo disagio.

Dopo tradimenti, vendette sfumate, divorzi e omicidi, il pastore salito sul pulpito per la domenicale messa, pronuncia la famosa pericope dell’adultera “chi è senza peccato scagli la prima pietra” e … “la donna, la donna perdonata s’alzò!”. Un’opera nella quale chierici e religiosi hanno l’ultima parola “stona” con le idee fortemente anticlericali del grande musicista, le quali non mancano di emergere dal libretto e dalla evoluzione dei fatti: così, nel primo atto, Stiffelio torna al castello del suocero e subito viene chiesto il suo alto giudizio su un possibile tradimento che caso vuole sia proprio quello di sua moglie con Raffaele. Nella sua incoscienza, gli vengono consegnati alcuni fogli persi dal presunto seduttore che lo comproverebbero, ma “per consegnarli, legger dovrei, rea tresca allora discoprirei…”.

Sceglie, invece, di gettarli alle fiamme “Colla cenere disperso sia quel nome e quel delitto; Dio lo disse, Dio l’ha scritto: al fratel s’indulgerà”. Nel prosieguo, appena scoperto il proprio stato di “cervide”, il pastore lascerà le buone parole e il talare e metterà vanamente la “cotta” da vendicatore. È un’esclusiva la rappresentazione di un prete che vuole uccidere il rivale d’amore, il quale, caricato per affondare il colpo mortale, viene fermato solo all’ultimo secondo dal coro dei penitenti “non punirmi, Signor, nel tuo furore … Miserere di me, pietà Signore” manco fosse una formella brunelleschiana; caso unico il pastore che fa firmare alla moglie il divorzio! Come dire “fate quello che predico, ma non quello che faccio!”, come recita quel motto tanto italiano…. Il tutto si conclude con un perdono generalizzato urbi et orbi, senza la morte di alcuno dei protagonisti, altra rarità verdiana!

Un cast di alta qualità e spessore: il capace tenore Roberto Iuliano nel ruolo di Stiffelio; una grandiosa Dimitra Theodossiou e la adultera Lina; ottima la voce di Stankar, in scena il baritono Giuseppe Altomare. Non di minore effetto Raffaele (Giuseppe Costanzo) e Mario Luperi nel ruolo di Jorg. A dirigere l’Orchestra del Teatro Massimo è il messinese Antonio Manuli, artista di comprovata fama ed esperienza, che il pubblico catanese ha già assaporato ne Italiana in Algeri (ottobre 2012).

La regia è stata affidata a Ezio Donato, il quale ha messo in evidenza come Stiffelio sia il ponte della evoluzione drammaturgico-musicale del Cigno di Busseto: “lui è un pastore protestante, sposato e combattuto, a causa del tradimento della moglie, tra il sentimento della vendetta e quello del perdono. Non è solo un dramma della gelosia, ma il conflitto tutto interiore determinato dalla scissione violenta e inaspettata fra l’individuo con la sua passione amorosa e, nello stesso tempo, il suo ruolo di padre spirituale di una comunità alla quale occorre dare l’esempio indicato dalle parole del Vangelo”. Questa lacerazione dei ruoli porta Verdi a “forzare le linee della tradizione melodrammatica e a modificare la grammatica della sua stessa musica, e la regia dovrà proprio individuare tutti quegli episodi musicali aventi in Stiffelio funzioni di mimica”, conclude Donato.

Assenti e umilianti le scenografie, ove i grandi saloni di castelli medievali e chiese gotiche hanno lasciato il posto a una scarna e sgranata foto di scena. Senza costumi anche l’abile coro del Teatro Massimo (diretto dalla capace Tiziana Carlini) il quale è stato intelligentemente nascosto alla vista del pubblico da un velo nero. Una prima assoluta al Teatro Massimo che avrebbe necessitato una maggiore attenzione per quei non piccoli particolari che creano l’opera nel suo complesso, per certo da addebitare al recente e ultimo taglio ai finanziamenti regionali effettuati in corso d’anno, che hanno impedito alle prestigiose scenografie di Parma di arrivare e far mostra al Tempio della musica catanese.

Quanto potrà andare avanti così? Fino a quanto Roma e Palermo tireranno la corda prima di farla collassare? Come non provano vergogna i tanti tanti “Raffaello” che lucidano orate poltrone, traditori di un patto con gli italiani e i siciliani e con la terra da loro abitata, a prendere i lauti denari, indifferenti alla catastrofe culturale che stanno producendo? Quanto ancora gli interessi di casta dovranno sommergere, affliggere e umiliare la cultura e la musica? Perché Germania, Francia ed Europa aumentano i finanziamenti alla cultura, mentre l’Italia è ferma in una ultraventennale riduzione a casaccio e non mirata? Domande senza risposta alle quali Piave/Verdi quasi centotrenta anni orsono descrivevano “Vidi dovunque gemere oppressa la virtude, vegliardi vidi e giovani, del vizio in schiavitude; vinto dall’oro il merito, delusa la giustizia, e in mare di nequizia vagar l’umanità” (Stiffelio, atto primo). E loro, ancora, non avevano visto cosa abbiamo fatto al loro mondo e alle loro certezze.

 

Partecipa al dibattito: commenta questo articolo

Segui LiveSicilia sui social


Ricevi le nostre ultime notizie da Google News: clicca su SEGUICI, poi nella nuova schermata clicca sul pulsante con la stella!
SEGUICI