“La mafia fa schifo e deve essere sconfitta, ma lo Stato sia più presente tra la gente”. I giovani sono sempre più lontani dalla politica di partito tradizionale ma si impegnano nel sociale, nella politica attiva sul territorio. Sono questi i risultati di una vasta indagine sulla percezione del fenomeno mafioso realizzata dal Centro Pio La Torre su scala nazionale e presentata oggi a Palermo.
“Il questionario è stato distribuito agli studenti delle 82 scuole superiori che hanno partecipato al progetto educativo e alle videoconferenze tematiche quest’anno”, spiega il presidente del centro, Vito Lo Monaco. I risultati dell’indagine, commentati da esperti, docenti, sociologi, economisti e statistici sono pubblicati sull’ultimo numero del settimanale ASud’Europa (www.piolatorre.it). Il campione non è statisticamente rappresentativo ma mostra le differenze sulla percezione del fenomeno mafioso da parte degli studenti nelle diverse aree del Paese.
Gli studenti percepiscono la mafia ancora come una realtà prettamente meridionale ma mostrano di conoscerne chiaramente la pericolosità sociale e il suo peso negativo sullo sviluppo economico. Al Nord i reati socialmente più pericolosi e attribuiti alla mafia sono il traffico di droga, il lavoro nero e la prostituzione, mentre al Sud i giovani al primo posto mettono il racket e subito dopo lo spaccio di droga, sicuramente per la maggiore evidenza mediatica dei fatti estortivi nelle città meridionali.
Il giudizio dei giovani sulla mafia è assolutamente negativo e accompagnato da un’ampia sfiducia sulla possibilità di liberarsene a breve fino a considerarla più forte dello Stato. Questo tipo di giudizio prevale al Nord mentre è minore al Sud dove si fanno sentire gli effetti dell’azione repressiva dello Stato.
Rimane altissima la sfiducia dei giovani verso i politici e la classe dirigente, ritenuti responsabili dei processi corruttivi nella vita pubblica, comprendendo anche i dipendenti pubblici. Gli studenti intervistati non ricorrerebbero mai ai politici e ai mafiosi per ottenere un lavoro, anzi li ritengono un serio ostacolo. Invece quasi tutti i giovani ammirano chi dedica la propria vita alla lotta contro la mafia e apprezzano il lavoro educativo antimafia dei loro docenti, mentre esprimono un giudizio negativo sull’impegno antimafia della Chiesa istituzionale
Infine il ruolo della scuola che si conferma luogo preminente, più delle famiglie, per la conoscenza del fenomeno mafioso e, di conseguenza, per la formazione di una coscienza critica da parte dei giovani. Un’indicazione utile ai fini educativi riguarda le fonti dell’informazione assunta dai giovani all’esterno della scuola: sulla mafia i giovani del Centro-Nord sono informati nell’ordine dalla lettura dei libri, dei giornali e poi dalla TV, mentre quelli del Sud lo sono maggiormente dalla TV che spesso trasmette modelli comunicativi non sempre positivi.
“Probabilmente anche questo fatto, assieme alla sfiducia verso i politici, concorre alla scelta preferita dagli studenti di ‘dedicarsi agli altri’ manifestando, nell’attuale società in transizione, un nuovo senso civico che prevale sul far politica” – spiega Lo Monaco – “In questi giovani sembra prevalere una diversa consapevolezza di come possano contribuire alla costruzione di una società futura più giusta e di questo sono grati anche ai loro docenti. Se la classe dirigente del Paese sapesse ascoltare quanto proviene da questi studenti dovrebbe cambiare la propria politica. In tal caso sarebbero più difficili le pratiche devianti, di una sua parte, dalla democrazia e dalla Costituzione, sarebbe più forte il rispetto dell’etica della responsabilità, si rafforzerebbero il senso civico e la difesa del bene comune, sarebbe più difficile alimentare individualismi egoistici e populismi autoritari sul piano politico”, conclude Lo Monaco.