La politica pensi alle prossime generazioni, non alle future elezioni

La politica pensi alle prossime generazioni, non alle future elezioni

Il "giochino" delle promesse quasi mai mantenute

Vogliono tutti il posto. E la politica politicante cala la testa. La campagna elettorale è finita, i riflettori si sono spenti, i contatori si sono fermati: c’è chi ha festeggiato e c’é chi ha perso.

Di certo non hanno vinto i postulanti, quelli che non riescono nemmeno a immaginare un impegno elettorale – anche il solo recarsi alle urne – se non dietro il solito corrispettivo, che quasi mai ottengono: il posto.

Non il lavoro, quello non manca, il comparto privato ne è alla continua ricerca e, grazie a Dio, non tutte le aziende sono rette da caporali avidi e senza onore, anzi. No! Vogliono il posto.

Termine dalla semantica complessa, un po’ dialettale e un po’ no, che comprende una vasta gamma d’impieghi, purché pubblici. Oppure, in alternativa, quei lavori che – chissà perché mai – nell’immaginario collettivo esercitano un certo fascino rassicurante, tipo un posto al supermercato o da guardia giurata o, che so io, da Osa, Oss (o come diavolo si chiamano) presso una clinica privata, privatissima … “ma sempre clinica é! Chiffa’, ti eccano fuara?”.

Tutto possibile, tutto fattibile, in campagna elettorale. Dove i “vediamo” e i “poi ne parliamo” mescolati a un qualche più ardimentoso “non c’è problema”, sono il mantra recitato ad ogni centimetro di marciapiede, ad ogni caffè e ad ogni stretta di mano o doppio bacio sulle guance che segue alla “parlata”(riuscitissima se c’è il bagno di folla, un flop se di bagno c’è solo il sudore buttato per organizzare il tutto).

E poi? Poi il day after, che è il solito paesaggio desolato, su cui é caduta una quantità inimmaginabile di bombe alla Maurizio Mosca (le ricordate?), lasciando solo delusione: telefoni che non sono più così solerti, portatori d’acqua che rimangono assetati, denti digrignati da cui fuoriesce il più classico dei “la prossima volta non ci venire più” (che di qua alla prossima volta finiscono sistematicamente nel dimenticatoio), nonché qualche raro fortunatissimo che fa sperare tutti gli altri; insomma, una gattopardesca politica del cambiamento che non cambia mai e si rinnova di continuo.

Ma non noi, noi non ci rinnoviamo. Il sud resta al palo, talmente al palo da temere gli effetti dell’autonomia differenziata. Ma di chi, o di cosa, è la colpa di tutto ciò? É forse del proverbiale, immancabile sistema, geniale alibi partorito dalla saggezza villana?

O è dei postulanti, a cui, mischini, un figlio o un genero da impostare non manca mai? O è dei politici politicanti, che calano la testa e giocherellano col tempo, sullo sfondo litanioso della solita musica? … “chiamami la prossima settimana”, “mandami il curriculum”, “ ci stiamo lavorando” e strombazzate simili.

In buona sostanza, siamo al cospetto dell’annosa questione di De Maistreiana maniera: è il popolo ad avere i governanti che si merita? O sono i governanti a non esser meritevoli del popolo? Boh!
Non so rispondere a questo dilemma e forse non c’è una risposta degna di assurgere a verità definitiva.

Quello che so è che se la politica politicante calasse meno la testa e avesse il coraggio di non pensare alle prossime elezioni, bensì alle prossime generazioni, probabilmente avremmo meno campioni del consenso e un Paese – il Sud specialmente – un po’ più campione di civiltà e di progresso.

Un momento, però: che il soggetto impegnato in politica aiuti o metta una buona parola o agevoli percorsi leciti é normalissimo, é umano. Anch’io l’ho fatto, disinteressatamente e tante volte.

Ma che la politica politicante cerchi la sua essenza in questa vocazione da illusorio ufficio di collocamento, o che comunque in qualche modo accondiscenda, no. É mortificante. É squalificante. Ed è un freno. Sì, un freno.

Ditemi: siamo o non siamo la parte del Paese che va a una velocità ridotta rispetta all’altra? Vabbè, l’importante è che cento aspettano e il raro fortunatissimo ce l’abbia subito, il posto. E che il contatore alla fine faccia 101 … al resto ci pensa Dio.

Ah, per non parlare di quei diritti sacrosanti che qui diventano piccoli favori quotidiani, perché un certificato “da uscire” , piuttosto che una visita da fare “bello presto”, piuttosto che un albero da potare (già!) non si negano a nessuno.

Okay, non ne parliamo, altrimenti mi dilungo e il buon paziente direttore se ne va al manicomio; o perde la santa pazienza e ci manda me, a quel Paese. E ne avrebbe pur ben donde.


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