La processione e l'inchino al boss | E in Sicilia? - Live Sicilia

La processione e l’inchino al boss | E in Sicilia?

I fatti di Oppido Mamertina inducono a una riflessione sul perverso rapporto, a volte, tra fede, simboli religiosi e mafia.

L'INTERVENTO
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PALERMO – In Sicilia, mi domando, avvengono episodi come quello di Oppido Mamertina senza averne notizia? Perchè se accadono sarebbe bene che ne venissero subito informate le autorità ecclesiastiche per i rigorosi provvedimenti conseguenziali. In quel paese della Calabria la processione della Madonna delle Grazie si è fermata, non certo casualmente, dinanzi all’abitazione del boss mafioso ai domiciliari in segno di ossequio, provocando la giusta reazione del comandante della locale stazione dei Carabinieri che ha abbandonato il luogo del misfatto. E il parroco? Gli altri religiosi presenti? Le autorità civili? Perchè, per quanto ne sappiamo dalle cronache, sono rimasti al loro posto e non hanno seguito l’esempio del bravo sottufficiale dell’Arma?

Non possiamo più tollerare scellerate complicità o inquietanti acquiescenze ai piedi della croce di Cristo e dei suoi santi. Grazie a Dio, è il caso di dire, in Sicilia cominciamo ad avere molti vescovi illuminati su questo tema, prima non era così. Del resto, sono trascorse poche settimane dalla condanna senza appello della scomunica pronunciata da Papa Francesco, in Calabria, nei confronti degli affiliati alla ‘ndrangheta, condanna ovviamente estesa agli appartenenti a qualsiasi associazione di stampo mafioso. Scomunica vuol dire estromissione dalla comunità ecclesiale, dal dono dei sacramenti, fino a quando non interviene il pentimento sincero, il taglio netto con la condotta che ha determinato la grave sanzione un tempo temuta da re e imperatori.

Gli effetti della presa di posizione del Pontefice si sono fatti sentire proprio in queste ore. Duecento detenuti del carcere di Larino, in Molise, in maggioranza legati alla ‘ndrangheta, hanno disertato la Messa. E’ chiaro il significato ostile di tale gesto, che ce ne ricorda uno analogo del 1984 a Palermo che ebbe come protagonisti il cardinale Salvatore Pappalardo e i detenuti dell’Ucciardone che non si presentarono all’Eucaristia celebrata dal presule, gesto che conferma non solo la necessità del severo monito papale ma anche che vi erano residui di ambiguità, almeno nell’animo dei mafiosi, che le dure parole del Papa hanno spazzato via.

Evidentemente, però, Oppido Mamertina ce lo rivela, le ambiguità non erano e non sono solo nell’animo dei mafiosi. Sono passati 21 anni dall’anatema di Giovanni Paolo II scandito nella Valle dei Templi, sono passati 21 anni da quella tragica sera in cui fu ucciso dalla mafia padre Pino Puglisi. Sono stati troppi i decenni, i secoli, in cui la Chiesa nel peggiore dei casi ha peccato, attraverso suoi rappresentanti, di esplicite connivenze con Cosa Nostra o, nel migliore, di colpevole silenzio nei riguardi di un costante sacrilegio perpetrato dai padrini mafiosi giunti al punto di servirsi della fede cattolica, e dei suoi simboli, per fare proseliti e mantenere intatto il proprio carisma malato tra la gente. Nei loro covi spesso sono state ritrovate piccole chiese, allestite con tanto di tabernacolo e immagini sacre. Cappelle in cui si sono recati infedeli sacerdoti e frati a officiare liturgie a favore di chi, ostinato impenitente, si era macchiato di orrendi delitti. Ora non è più possibile nascondersi dietro l’equivoco, né per il mafioso né per i suoi complici, e nemmeno per il comune cittadino, chierico o laico, politico, imprenditore, professionista, intellettuale o analfabeta, che all’ombra della cupola sanguinaria ha consumato affari e scambiato favori, salvo poi vederlo in chiesa tutte le domeniche. La mafia è un’organizzazione criminale dedita al male, agli omicidi, alle stragi, alla sopraffazione dell’uomo sull’uomo, per il denaro, per il potere malvagio. E dove c’è mafia, dunque, non può esserci Dio, c’è l’inferno. L’ha detto il Papa, definitivamente.


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