Suggestivo, drammaticamente suggestivo, l’articolo di Roberto Puglisi: “Palermo violentissima. Ecco come sopravvivere”. Suggestivo nel significato duplice riportato dai vocabolari, suscita una forte emozione e suggerisce strade percorribili per non impantanarsi nella depressione individuale e sociale. Puglisi, con la sua accattivante penna di giornalista-poeta dopo averci fatto immergere nella disperazione, raccontando una città “brutta, sporca e cattiva”, aggiungerei cafona, maleducata, quasi irredimibile, convincendo il lettore attonito come non sia possibile pretendere oltre dalle forze dell’ordine e come sia inutile appellarsi a una classe politica “che se ne frega altamente della questione sicurezza”, improvvisamente, con un colpo di reni, invita a riemergere dalla palude della paura per appellarci a noi stessi, a un ritrovato senso della comunità e, udite udite, alle parole.
Già, alle parole. Follia o superficialità pensare di potersi opporre agli scippi, alle aggressioni, alle minacce, ai furti, alle rapine, alla prevaricazione mafiosa con le parole? Attenzione, parole che non devono rimanere inutilmente relegate nell’intimo rassegnato, piuttosto piantate come semi nello spoglio giardino di tutti perché curate e alimentate possano diventare piante, cioè coscienza civile, cultura collettiva, fatti concreti. Lui, una parola l’ha già trovata: Gelsomino, spiegandone il motivo. Quindi, ha sollecitato ognuno di noi a scegliere una parola. Palermo, nelle ultime settimane è stata teatro di ripetute, encomiabili operazioni di polizia per contrastare il fenomeno dell’abusivismo, in particolare nel settore delle attività produttive. Un cancro, difficilmente estirpabile in una città in cui sono tanti i fratelli lupo, per citare Puglisi, che, ironicamente “poverini”, hanno avuto un’infanzia difficile.
Ci sono quelli che delinquono e basta e quelli che non rispettano le regole “perché si deve pur campare”. A volte le due categorie s’incrociano. C’è chi decide, per “calare la pasta”, di ricorrere a un carrettino privo di licenza e chi di assalire una farmacia. Non è la stessa cosa, se nel primo caso qualche domanda me la pongo nel secondo invoco solo repressione senza se e senza ma, pur augurandomi in segreto, resistendo alla tentazione delle teorie lombrosiane, che il rapinatore messo di fronte a una rapina e a un lavoro scelga il lavoro. Non stiamo a discutere dei mafiosi e dei loro amici dai colletti bianchi, si accettano unicamente condanne esemplari e carcere duro. I mafiosi, però, lo sappiamo bene, non si occupano solo di pizzo e di racket, controllano il territorio attraverso gli abusivi, i lavavetri, i posteggiatori.
Io credo che in una città come Palermo, fatta la dovuta distinzione tra chi delinque perché criminale e chi si sottrae alla legge perché impotente, magari vittima egli stesso della mafia che si pone come uno “stato” alternativo allo Stato, spesso assente nell’assicurare i diritti fondamentali e avvertito come nemico, non basta la necessaria repressione. Occorre, contemporaneamente, un’azione che stimoli il lavoro e lo sviluppo. Bella trovata, mi si dirà. Chiedo, questo tema è mai stato davvero all’ordine del giorno dei potenti? Qualcuno nei piani alti dei partiti e delle istituzioni si è mai “sfirniciato”, cioè sforzato fino a trovare una soluzione a un problema, senza furbizie, parentopoli, occhio al consenso, spesso malato, per tentare di regalare un’opportunità a chi per “calare la pasta” deve fare il posteggiatore, l’abusivo a piazza Magione o il furtarello estemporaneo? Per “costringerlo” a scegliere la legalità, se non per ragioni etiche almeno perché economicamente più conveniente?
E’ il momento di dire la mia parola: Fantasia. Cominciamo a scrivere progetti che coniughino legalità e lavoro. Perché non ci inventiamo a Palermo i villaggi gastronomici in un’ampia area pedonalizzata? Perché non trasformare le stesse aree pedonalizzate in centri produttivi “sfruttando” la cultura, di giorno e di notte, tenendo aperti i nostri tesori presidiati da ex posteggiatori o ex lavavetri o disoccupati in cooperativa? Perché non mettere su villaggi etnici, con servizi e agevolazioni fiscali, per evitare che le bancarelle degli extra-comunitari, spesso non in regola con l’odioso permesso di soggiorno e con roba contraffatta, invadano via Ruggero Settimo, via Cavour, via Belmonte e, tra poco, Politeama e buona parte di via Libertà?
Per esempio, visto che non c’è verso di abolire le zone blu, secondo me illegittime, almeno potremmo ipotizzare di formare delle cooperative attraverso le quali i posteggiatori, con la fedina penale pulita e con eventuali conti con la giustizia saldati, possano provvedere, in cambio di una percentuale del costo orario della sosta, a distribuire e a fare pagare il tagliando. Uguale ragionamento sugli autobus dell’Amat in deficit perché uno su due non paga il biglietto. Diventa una forma di controllo del territorio legale sottratto alla mafia. Rendiamo permanente l’adozione dei monumenti, dei giardini, delle ville, delle spiagge libere in cambio di parte degli introiti. I palermitani versano tasse salatissime per la raccolta dei rifiuti.
Perché non impegnare dei volontari in cooperativa, in cambio di una percentuale, per la raccolta porta a porta per la differenziata? Intendo, letteralmente suonando il campanello? Alla fine il Comune ci guadagnerebbe quando, finalmente, i rifiuti diventeranno una risorsa e non un incubo. Efficace? Praticabile? Proviamoci! Mille idee potrebbero venire fuori. Servirà per diminuire la criminalità per le strade oltre che a combattere l’abusivismo? Il responso si potrà avere dopo, intanto tentiamo. La fantasia in mano a degli amministratori giovani, preparati con voglia di fare è un’arma straordinaria. Ecco, forse avere assessori giovani, motivati e innamorati della loro città e dei beni comuni sarebbe una piacevole novità.