Gli amici volevano scordare il dolore delle immagini degli ultimi giorni, la luce del sorriso tra le crepe e le macerie dell’agonia. Gli amici si sono interrogati seriamente sulla resurrezione con un altro corpo, di fibra e caratura diversa. Così hanno piantato un albero con il suo nome, a Mondello. Giusto. Lui, in vita, era già un uomo-albero, con foglie verdissime per sentire il contatto con le altre persone, rami per abbracciare tutti, il cielo sopra la testa, col sole o con la pioggia e i piedi affondati nel cuore della terra.
Forse è una lezione da tenere a mente, mentre raccontiamo l’indegno scempio del cimitero dei Rotoli. I palermitani che furono subiscono una sorte iniqua nelle loro spoglie mortali, perché il sindaco dell’oltretomba non è evidentemente più in gamba di quell’altro. Da noi non funziona nemmeno l’amministrazione del senso del sacro: la profanazione subita è il destino. Allora la via tracciata: cullare un seme per dopo e affidarlo alle mani di chi abbiamo amato e di nuovo alla terra.
Un giorno, saremo tutti alberi nella Palermo risorta. Intanto uno c’è già, nella rotonda verde che sbuca da via Castelforte a Mondello. C’è il suo nome su una targa. Albero Ribaudo.