“E’ il primo provvedimento organico che riforma l’intero sistema universitario”. Così il ministero dell’Istruzione, Università e Ricerca definisce il ddl domani all’esame della Camera, evidenziando come tra i punti principali ci siano la lotta agli sprechi e a “parentopoli” e lo stop ai rettori a vita. “Il ddl – spiega Viale Trastevere – afferma il principio che l’autonomia delle università deve essere coniugata con una forte responsabilità finanziaria, scientifica, didattica. Le università sono autonome ma risponderanno delle loro azioni. Se saranno gestite male riceveranno meno finanziamenti. Soldi solo in base alla qualità. Fine dei finanziamenti a pioggia”. Inoltre, “vengono riformati il reclutamento del personale e la governance delle università secondo criteri meritocratici e di trasparenza”.
Organizzazione del sistema universitario: entro sei mesi dall’approvazione della legge le università dovranno approvare statuti con queste caratteristiche.
– Adozione di un codice etico per evitare incompatibilità e conflitti di interessi legati a parentele. Alle università che assumeranno o gestiranno le risorse in maniera non trasparente saranno ridotti i finanziamenti del Ministero.
– Limite massimo complessivo di 6 anni al mandato dei rettori, inclusi quelli già trascorsi prima della riforma. Un rettore potrà rimanere in carica un solo mandato.
– Distinzione netta di funzioni tra Senato e CdA: il Senato avanzerà proposte di carattere scientifico, ma sarà il CdA ad avere la responsabilità chiara delle assunzioni e delle spese, anche delle sedi distaccate.
– Il CdA: non sarà elettivo ma fortemente responsabilizzato e competente, con il 40% di membri esterni. Il presidente del CdA potrà essere esterno. Presenza qualificata degli studenti negli organi di governo.
– Direttore generale al posto del direttore amministrativo: il direttore generale avrà compiti di grande responsabilità e dovrà rispondere delle sue scelte, come un vero e proprio manager dell’ateneo.
– Nucleo di valutazione d’Ateneo a maggioranza esterna: dovrà avere una maggiore presenza di membri esterni per garantire una valutazione oggettiva e imparziale.
– Gli studenti valuteranno i professori e questa valutazione sarà determinante per l’attribuzione dei fondi alle università da parte del Ministero.
– Fusioni Atenei: ci sarà la possibilità di unire o federare università vicine, anche in relazione a singoli settori di attività, di norma in ambito regionale, per abbattere costi e aumentare la qualità di didattica e ricerca.
– Riduzione dei settori scientifico-disciplinari, dagli attuali 370 alla metà (consistenza minima di 50 ordinari per settore). Saranno ridotti per evitare che si formino micro-settori che danneggiano la circolazione delle idee e danno troppo potere a cordate ristrette.
– Riorganizzazione interna degli Atenei: riduzione molto forte delle facoltà che potranno essere al massimo 12 per ateneo. Questo per evitare la moltiplicazione di facoltà inutili o non richieste dal mondo del lavoro.
– Reclutamento di giovani studiosi: il ddl introduce l’abilitazione nazionale come condizione per l’accesso all’associazione e all’ordinariato. L’abilitazione è attribuita da una commissione nazionale sulla base di specifici parametri di qualità. I posti saranno poi attribuiti a seguito di procedure pubbliche di selezione bandite dalle singole università, cui potranno accedere solo gli abilitati. Tra i punti salienti: Commissioni di abilitazione nazionale autorevoli con membri italiani e, per la prima volta, anche stranieri; cadenza regolare annuale dell’abilitazione a professore, al fine di evitare lunghe attese e incertezze; distinzione tra reclutamento e progressione di carriera: basta con i concorsi banditi per finta solo per promuovere un interno.
– Accesso di giovani studiosi: Il ddl introduce interventi volti a favorire la formazione e l’accesso dei giovani studiosi alla carriera accademica. Tra i punti salienti: revisione e semplificazione della struttura stipendiale del personale accademico per eliminare le penalizzazioni a danno dei docenti più giovani; revisione degli assegni di ricerca per introdurre maggiori tutele, con aumento degli importi; abolizione delle borse post-dottorali, sottopagate e senza diritti; nuova normativa sulla docenza a contratto: riforma del reclutamento.
– Gestione finanziaria: Introduzione della contabilità economico-patrimoniale uniforme, secondo criteri nazionali concordati tra Miur e Tesoro: i bilanci dovranno rispondere a criteri di maggiore trasparenza.
– Commissariamento e tolleranza zero per gli atenei in dissesto finanziario.
– Valutazione degli Atenei: Le risorse saranno trasferite dal ministero in base alla qualità della ricerca e della didattica. Fine della distribuzione dei fondi a pioggia. Obbligo di accreditamento, quindi di verifica da parte del ministero, e valutazione dell’efficienza dei risultati da parte dell’Anvur.
– Obbligo presenza docenti a lezione: avranno l’obbligo di certificare la loro presenza a lezione. Questo per evitare che si riproponga senza una soluzione il problema delle assenze dei professori negli atenei. Viene per la prima volta stabilito inoltre un riferimento uniforme per l’impegno dei professori a tempo pieno per il complesso delle attività didattiche, di ricerca e di gestione, fissato in 1500 ore annue di cui almeno 350 destinate ad attività di docenza e servizio.
– Scatti stipendiali solo ai professori migliori. Si rafforzano le misure annunciate nel decreto ministeriale 180 in tema di valutazione dell’attività di ricerca dei docenti. In caso di valutazione negativa si perde lo scatto di stipendio e non si può partecipare come commissari ai concorsi.
– Diritto allo studio e aiuti agli studenti meritevoli delega al governo per riformare organicamente la legge 390/1991, in accordo con le Regioni per spostare il sostegno direttamente agli studenti per favorire accesso agli studi universitari e mobilità. Inoltre sarà costituito un fondo nazionale per il merito al fine di erogare borse di merito e di gestire su base uniforme, con tassi bassissimi, i prestiti d’onore.
– Mobilità del personale Sarà favorita la mobilità all’interno degli atenei, perché un sistema senza mobilità interna non è un sistema moderno e dinamico. Possibilità per chi lavora in università di prendere 5 anni di aspettativa per andare nel privato senza perdere il posto.