PALERMO – Un miracolo sportivo. Servivano cinque partite senza arrendersi e senza perdere, per cancellare il ricordo di una stagione sin troppo piena di delusioni ed evitare una retrocessione a cui oramai ci si era rassegnati. Atalanta, Frosinone, Sampdoria, Fiorentina. E infine Verona. Ebbene, è andata proprio così. Tre vittorie e due pareggi, per raggiungere quota 39 e dire che almeno per un altro anno Palermo merita la Serie A. L’ultimo scatto di orgoglio, nonché quello più importante, contro gli scaligeri. Successo sofferto, senza mai dare nulla per scontato. Davanti al pubblico delle grandi occasioni che, cancellando l’onta di quanto era accaduto contro la Lazio, è tornato a essere per una notte il dodicesimo uomo in campo. E non solo per modo di dire. Tre punti e mille sogni, ancora da coltivare e inseguire. L’epilogo più bello ma anche quello più illogico in una stagione che non verrà certo ricordata per la ponderatezza di scelte e decisioni che spingevano, probabilmente in modo inconsapevole, nella direzione del baratro. Stranezze di un calcio che qualcosa da raccontare, forse, ancora ce l’ha. Il barlume della speranza rimane accesso per una città in cui l’ottimismo scarseggia, volendo utilizzare un eufemismo. Una notte di festa e di riconciliazione era quello che serviva per dare un senso logico a un mosaico prossimo alla deformazione.
Un finale a sorpresa, senza dubbio. Perché pensare di mantenere la categoria con nove gestioni tecniche e due sessioni di mercato al ribasso (questo va ricordato anche nel giorno in cui si fa festa) era perlomeno un azzardo. Mettendo in discussione, come se non bastasse, quegli uomini che sin dalle prime uscite rappresentavano punti di forza di cui non si poteva né si doveva fare a meno. Sorrentino e Gilardino, in primis. Discorso a parte per quel che riguarda Maresca, ripescato in extremis e diventato salvatore della patria quando i giochi sembravano già fatti. Infine eroe, col Verona. In quella corsa dopo il gol del momentaneo 2-1 ci sono tantissime emozione: gioia, certamente. Ma anche rabbia, delusione e un pizzico di orgoglio. Sorrentino, Gilardino e Maresca: un trio di esperienza e classe dato per spacciato, finito, bollito, prossimo alla terza età del calcio giocato. Non ce ne vogliano gli altri, ma per professionalità, caparbietà, buon senso e classe, la fetta più grande di questa salvezza appartiene a loro. Per come hanno costruito il miracolo e guidato un gruppo acerbo anche all’ultimo successo. E a Franco Vazquez, che lascia nel modo migliore dopo un’annata difficile, tra fardelli da portare e qualche censurabile scatto di nervosismo. Il giudizio, nel complesso, è positivo. Giusto garantirgli l’opportunità di valorizzare un talento maturo per altri palcoscenici.
Ma è anche la salvezza di chi ha parlato e si è visto meno pur garantendo il proprio apporto. Il riferimento è ad Andelkovic, Cionek, Goldaniga, Vitiello, Morganella (eccettuando l’evitabilissimo rosso nella gara più importante della stagione) e Rispoli. E ancora a Jajalo, Hiljemark, Quaison, Brugman e Chochev, ai giovani Alastra, Pezzella e La Gumina, agli oggetti misteriosi Djurdjevic, Trajkovski, Cristante e Balogh. È la salvezza di Struna, che nonostante una caterva di errori tenne accesa la speranza siglando il 2-2 nella sfida silenziosa contro l’Atalanta. L’elenco viene completato da Gonzalez e Lazaar, due pedine da cui ci si attendeva ben altro. Ma non è il caso di escludere nessuno dalla festa. Neppure Posavec, Pirrello e Bentivegna. Una permanenza tra le big targata Iachini-Ballardini-Viviani-Schelotto-Tedesco-Bosi-Novellino: sette allenatori che si sono spartiti oneri e onori. È persino la salvezza di Maurizio Zamparini, che al netto di errori marchiani e uscite fuori luogo ha voluto crederci. Gli va riconosciuta l’azzeccata decisione di chiamare in extremis Gianni Di Marzio, profondo conoscitore di certe dinamiche che caratterizzano il calcio e abile nel tessere la tela quando la panchina venne riaffidata a Ballardini. Cala il sipario su una delle stagioni più strane ed esaltanti dell’intera storia rosanero: è tempo di riposare. E di programmare, possibilmente.