Il giallo della scomparsa dei Maiorana: inchiesta archiviata

La scomparsa dei Maiorana: inchiesta per omicidio archiviata

Il caso è chiuso per Francesco Paolo Alamia e Giuseppe Di Maggio

PALERMO – Archiviata l’inchiesta per l’omicidio dei costruttori Antonio e Stefano Maiorana. Il caso è chiuso, almeno per quanto riguarda Francesco Paolo Alamia e Giuseppe Di Maggio. Lo ha deciso il giudice per le indagini preliminari Marco Gaeta che ha accolto la richiesta della Procura, contro cui si era opposta Rossella Accardo, moglie e madre dei due imprenditori scomparsi nel nulla nel 2007. Non ci sono prove per sostenere un processo.

A una prima archiviazione del fascicolo, inizialmente aperto a carico di ignoti, è seguita una riapertura dell’inchiesta stavolta nei confronti di Alamia, ex socio del sindaco mafioso Vito Ciancimino, nel frattempo deceduto, e del costruttore Giuseppe Di Maggio. I due indagati sono difesi dagli avvocati Fabrizio Bellavista e Alessandro Campo che hanno sempre ribattuto punto su punto alle accuse. Si è scritto parecchio, elementi molto suggestivi che non hanno prodotto risultati concreti. E, scrive il giudice, non si può tenere una persona sotto inchiesta in eterno. Servono le prove per fare i processi.

La difesa dell’ingegnere Alamia, oggi dei familiari, ribadisce quanto sempre affermato dal proprio assistito fino all’ultimo giorno di vita e cioè che “lo stesso fosse assolutamente estraneo alla sparizione dei Maiorana. Le indagini svolte non hanno portato alcun elemento neanche più remoto che fosse riconducibile all’Alamia. Si spera, nel futuro, che il nome dell’ingegnere Alamia non venga più accostato a questo episodio di cronaca ancora insoluto”.

L’ombra di Messina Denaro

Lo stesso Gip aveva ordinato nuove indagini, in particolare su alcune impronte digitali trovate nella Smart dei due imprenditori, lasciata nel parcheggio dell’aeroporto palermitano il giorno della scomparsa. L’avvocato di Accardo, Giacono Frazzitta, aveva chiesto di scandagliare il coinvolgimento di una donna del mistero che potrebbe avere avuto un ruolo chiave nella vicenda e che in qualche modo, in passato, sarebbe entrata in contatto con Matteo Messina Denaro.

Affari, ricatti sessuali, l’ombra della mafia e persino di Matteo Messina Denaro: il fascicolo è degno della trama di un giallo. Di mezzo, però, c’è la cruda realtà di due uomini scomparsi nel nulla. Forse assassinati.

Il ricatto sessuale

L’ipotesi è che Antonio Maiorana avesse ricattato Alamia usando un video pornografico e, scrisse la Procura, minacciandolo di “farlo finire sui giornali”. Un video mai trovato e le cose che non si trovano finiscono per alimentare il mistero. Dieci giorni prima della scomparsa dei due imprenditori, Alamia, socio della Calliope, l’impresa che si era affidata ai Maiorana per costruire un residence a Isola delle Femmine, cedette le quote a Dario Lopez, che ne deteneva già il 50%, e da questi finirono a Karina Andrè, allora compagna di Antonio Maiorana. Quest’ultimo, in pratica, da collaboratore esterno si ritrovò proprietario di mezza azienda.

Giuseppe Di Maggio, di Torretta, è figlio di Lorenzo Di Maggio, condannato per associazione mafiosa e cognato del boss Salvatore Lo Piccolo. Era titolare di una ditta di movimento terra e si sarebbe trovato nella zona del cantiere di Isola delle Femmine nel giorno della scomparsa dei Maiorana.

Il dramma nel dramma

Nell’aprile 2010 Accardo guardando nella stanza del figlio Marco che, tragedia nella tragedia, decise di togliersi la vita, trovò un fumetto di Topolino e lo consegnò ai carabinieri. Marco vi aveva scritto sopra: “Paolo era il suo peggior nemico e doveva pagarla… ricattare Paolo e Dario per avere il 50% delle quote Calliope diventò il suo pensiero fisso, Karina avrebbe fatto da spalla mentre lui conquistava tutti con promesse di soldi sollecitando interessi sessuali… con Karina abbiamo distrutto la memoria del Pc ove si conserva il materiale con cui si teneva Paolo e Dario ricattabili. Abbiamo temuto per le nostre vite. Sapevo che quella mattina mio fratello andava a discutere qualcosa di grave e non sono riuscito a trattenerlo”.

Il racconto dei testimoni

Nel corso delle indagini l’ipotesi dei ricatti sessuali è stata alimentata da due testimoni i quali, prima ancora che gli venisse chiesto, hanno spontaneamente raccontato che Karina Andrè, ex compagna di Antonio Maiorana, avesse addirittura una relazione con il latitante Messina Denaro. La donna glielo avrebbe confidato parlando però in maniera vaga di un boss potentissimo della zona di Trapani. Dalla donna solo smentite, ma i testimoni sono addirittura svenuti mentre riferivano il retroscena al pubblico ministero Roberto Tartaglia (oggi al Dap) e ai carabinieri. Gli investigatori parlarono di clima di terrore.

Infine si arrivò a un nickname con cui sono state spedite alcune mail. In diverse conversazioni intercettate si faceva riferimento a tale “Perrotta”. Ad esempio Lopez, nel settembre del 2015, diceva a un imprenditore: “Alamia aveva detto a Perrotta gli ha dato una spi…”. Da qui l’ipotesi che Alamia potesse avere fatto delle confidenze sull’omicidio al misterioso Perrotta. Lopez e l’imprenditore con cui parlava nella conversazione intercettata, sentito dai pm, hanno detto di non conoscere l’identità di Perrotta.

L’indagine non può essere sine die

“I temi investigativi sono stati svolti dal pubblico ministero con un serio approfondimento investigativo, che, però, nulla ha apportato sul piano indiziario – scrive ora il gip – . Nell’atto di opposizione il difensore, pur riconoscendo la non conducenza nelle investigazioni suppletive svolte rispetto all’ipotesi della responsabilità nei confronti di Di Maggio Giuseppe (Alamia frattanto è deceduto), ha proposto ulteriori temi di indagine che hanno un carattere essenzialmente esplorativo rispetto all’ipotesi dell’omicidio, senza che in qualche modo essi assumono o possono assumere rilevanza a carico di Di Maggio, unico soggetto ancora indagato ma allo stato attinto da un quadro indiziario debole e non suscettibile di essere implementato. Si rammenta che il procedimento è iscritto a modello 21 e che quindi – conclude il giudice – è necessario sempre rapportare il giudizio sulla utilità delle indagini alla persona indiziata che è diversamente verrebbe a trovarsi indagata sine die”.


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