La Sicilia dei commissari - Live Sicilia

La Sicilia dei commissari

Nelle ex Province e non solo in quelle, le figure nominate per gestire l'emergenza hanno permesso a Palazzo d'Orleans di amministrare il potere. Prima di finire "commissariato" a sua volta.

PALERMO – “Commissario liquidatore”. Lo hanno apostrofato così in questi giorni, e non per fargli i complimenti, sia rappresentanti delle associazioni di categoria sia della politica. Lui è Alessandro Baccei, l’assessore all’Economia spedito dal governo Renzi a mettere ordine nei conti disastrati della Sicilia. E pur non avendone il titolo, è di fatto l’ultimo a incarnare la figura del “commissario” che l’ha fatta un po’ da padrone nell’era di Rosario Crocetta. Che attraverso i commissari, figure straordinarie che per definizione amministrano un potere che competerebbe ad altri, governa ormai da più di un anno quel che resta delle vecchie province. E non solo quelle. Perché prima era toccato alla sanità, anch’essa commissariata per tempi biblici nel lungo (e imbarazzante) tira e molla che precedette le nomine dei manager. Commissari nelle Asp allora, commissari nei liberi consorzi mai nati oggi, insieme ai commissari nelle partecipate in liquidazione, magari dal secolo scorso, e di un pugno di enti e consorzi vari.

Il termine già di per sé risulterà familiare a Rosario Crocetta. Perché quel “commissario” in effetti riporta alla mente l’immagine dei tutori della legge, magari quelli immaginari protagonisti di fortunate saghe, certamente cari all’antimafioso governatore. Fui lui stesso, peraltro, a parlare qualche mese fa in pubblico del suo “fiuto sbirresco”. Pensando probabilmente a quei commissari lì (più che ai commissari politici dell’Unione sovietica richiamata dal retaggio politico comunista del governatore), Crocetta trasse ispirazione per spedire l’ex pm Antonio Ingroia a fare il commissario della ex provincia di Trapani per dare impulso alle indagini su Messina Denaro (sfoggiando una personalissima interpretazione delle competenze dell’ente di area vasta).

Attraverso i commissari, arrivati ormai alla seconda o terza tornata, il governo regionale gestisce le vecchie province, quasi ovunque con fedelissimi del presidente, amministrando rimasugli di potere che spetterebbero alla politica (o meglio, ai cittadini, sebbene attraverso un’elezione di secondo grado), se la madre di tutte le riforme abortite non rimanesse lì nella sua desolante immobilità. Come riassunto ieri da Livesicilia, sulle Province la Sicilia, dopo la fuga in avanti, s’è fatta superare dal resto d’Italia e resta così nel limbo. Dei commissariamenti. Così come le città rimaste senza sindaco per svariati motivi e che saranno mandate al voto, con molta calma, nella primavera prossima. Intanto, ci pensano i commissari. Che siedono, come detto, anche tra enti, consorzi, partecipate, teatri… magari da qualche parte piantano radici, trasformandosi in un secondo momento in presidenti.

È la Sicilia, certo, ma non solo. Se anche il Corriere della Sera pochi giorni fa definiva l’Italia “un Paese di commissari” (Il Sole 24 Ore ne contò tempo fa diecimila su e giù per lo Stivale) e stigmatizzava questa tendenza crescente di affidare poteri straordinari in nome dell’emergenza di turno, bypassando così le regole ordinarie. Il che inquieta tanto più quando l’emergenza è provocata non da una calamità naturale o dall’imprevedibile, ma dalla lentezza di una classe politica poco responsabile come nel caso della riforma delle province il cui compimento è rinviato alle calende greche. E nell’Isola dei commissari, anche sulla montagna maleodorante di monnezza e veleni dei rifiuti siciliani Rosario Crocetta vorrebbe sistemare la poltrona di un altro commissariamento, per evitare il peggio. Tra discariche chiuse e al collasso, il rischio di ritrovarsi a breve con le strade invase dalla spazzatura è concreto. Ma fra il dire e il fare su questo capitolo c’è di mezzo Roma, che sul commissariamento potrebbe frenare.

E sì, perché chi di commissario ferisce di commissario perisce. E forse distratto dal trovare posto alle figurine di seguaci e fedelissimi da appiccicare nell’album del Palazzo, Crocetta il “commissariamento” se l’è ritrovato in casa. È arrivato in modo più dolce e subdolo, rispetto alle richieste di un Orlando, ma è arrivato. E più di tutti lo incarna proprio quell’Alessandro Baccei imposto alla Sicilia da Delrio e Renzi nell’operazione romana che ha portato alla nascita dell’attuale giunta. L’opposizione teme che il suo compito sia quello di portare i libri in tribunale e già lo dipinge (ieri con Toto Cordaro) come “commissario liquidatore-becchino dell’autonomia”. Le parti sociali ne parlano come di un inafferrabile e lamentano le difficoltà nel confrontarsi con lui. Baccei “il commissario” fa spallucce. Spiega ai giornali che lui e il suo staff stanno facendo un lavoro sovrumano, liquida il Parlamento con la sua battuta sui “tempi da caffè” quasi alla stregua di una congrega di perdigiorno (sorvolando sul dettaglio che in Parlamento il bilancio non è arrivato), sfodera una sicurezza che ai critici risulta altera e che dà la cifra del suo peso in giunta. Perché è dalle sue mani che passa il lavoro “sporco”. Quello di ridurre all’osso le spese della Regione in quasi bancarotta. Il “commissario” – anche se è Natale e il bilancio all’Ars non si è visto (ed è la prima volta nella storia) – dice che ha chiaro cosa si debba fare. E c’è da credere che lo farà. Magari mentre nel suo Palazzo il governatore sarà impegnato nel frattempo a nominare qualche altro commissario da spedire a gestire tra le macerie l’illusione di un potere che non c’è più.

 


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