Dal Muos al pilone numero 40 | Quando la protesta ferma tutto - Live Sicilia

Dal Muos al pilone numero 40 | Quando la protesta ferma tutto

Dall'elettrodotto alle pale dell'eolico passando per il Muos, così tutto si ferma in nome della protesta. Ma fra lo scempio e la paralisi deve pur esserci una via di mezzo.

PALERMO – C’è un pilone in Sicilia, un po’ meno famoso di quello inclinato come la Torre di Pisa sotto il viadotto Himera che ha spaccato in due l’Isola. Eppure anche quest’altro pilone, o meglio traliccio, che non sostiene nessun ponte, da tempo merita i titoli dei giornali. Quel pilone ha un numero, 40, e si trova sul crinale di Monte Raunuso, dalle parti di Saponara, nel Messinese. È un pezzo dell’elettrodotto Sorgente-Rizziconi, che dovrebbe unire Sicilia e Calabria. L’opera, come ha raccontato Livesicilia, è bloccata dal sequestro di un traliccio effettuato dal tribunale di Messina. L’accusa – respinta al mittente da Terna – è “violazione delle norme di salvaguardia previste dal Piano paesaggistico” . I comitati civici che osteggiano l’opera denunciano la sua incompatibilità con la salvaguardia del territorio e i rischi dell’elettromagnetismo. “Cinque anni di iter autorizzativo, oltre 100 incontri e sopralluoghi e i pareri positivi di oltre 80 enti interessati non sono stati sufficienti per assicurare all’Italia e agli Italiani la realizzazione dell’elettrodotto Sorgente-Rizziconi, una delle opere elettriche più importanti per il Paese”, risponde Terna.

I pareri positivi di 80 enti interessati non bastano. Non nella Sicilia dei no. Quella dei comitati, delle marce e delle proteste, delle pronunce ballerine e dell’incertezza. Quella dei minuetti delle decisioni tra politica e magistratura.

La più celebre di queste vicende è senz’altro quella del Muos. Dopo una raffica di sì, no e ni della politica, ci ha pensato la magistratura amministrativa a stoppare l’impianto militare americano che ha scatenato le proteste della popolazione di Niscemi. Una battaglia infinita, che ha visto il governo regionale protagonista di posizioni altalenanti, e che al momento è ferma alla sospensiva dei lavori decisa dal Tar e confermata dal Cga. “È sconcertante che la nostra sicurezza nazionale (di cui gli impegni con l’alleato americano sono un’essenziale componente) sia appesa alle decisioni di Tar e procure”, scrisse al riguardo nelle scorse settimane Angelo Panebianco sul Corriere. Ma tant’è. In quell’articolo Panebianco parlava di “terribile alleanza” tra un certo ambientalismo e la magistratura. Terribile o meno, quell’alleanza in Sicilia sortisce effetti di stallo. La sindrome del “nimby” (acronimo inglese che significa “non nel giardino di casa mia”) trova sponde efficaci nelle aule di giustizia, complici le incertezze dei governi, i pateracchi dei legislatori e il generalizzato clima di sfiducia verso le Istituzioni che alimenta sospetti, non sempre fondati, praticamente su tutto.

“Abbiamo un rapporto così speciale con l’Italia e la Sicilia che mai potremmo violare le normative e il rispetto per il popolo siciliano. Vorremmo più armonia su questo. Abbiamo un’installazione Muos alle Hawaii vicino a Honolulu, non c’è mai stato un problema”, commentava il mese scorso a Palermo il console generale degli Usa Colombia Barrosse. Ma qui non siamo alle Hawaii e il copione al momento è stato ben diverso. (qui la lettera di risposta dei comitati No Muos a Livesicilia)

Ma il catalogo della Sicilia dei no è lungo e variegato. Dalle pale dell’eolico scomunicate per la deturpazione del paesaggio all’incredibile vicenda, chi la ricorda ancora?, della travagliata realizzazione del resort di Rocco Forte a Sciacca, dove per mesi e mesi si combatté una guerra all’ultima scartoffia per una buca di un campo da golf. Passando per le battaglie sul Ponte sì, Ponte no, tanto rumore per nulla dopo che la fantomatica grande opera è ritornata nel libro dei sogni.

Legittime le preoccupazioni per la salute delle comunità locali (purché fondate su ragioni concrete) e comprensibile l’infimo tasso di fiducia nelle Istituzioni alla luce dello sfacelo generale della Sicilia, ma ciò che resta, alla fine è la difficoltà, se non l’impossibilità di modernizzare un’Isola cadente e sempre più arretrata. Fra lo scempio del paesaggio (e i rischi per la salute) e la Sicilia delle palafitte deve pur esserci una via di mezzo del buon senso che superi i veti dei no a prescindere.


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