La Sicilia e la caduta del renzismo |Strada in salita per Faraone e i suoi - Live Sicilia

La Sicilia e la caduta del renzismo |Strada in salita per Faraone e i suoi

L'area vicina all'ex premier si è indebolita e in questi anni ha perso smalto. E rischia di finire in minoranza a Palermo.

Verso il voto
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PALERMO – Prendete un renziano di Palermo, tanto per cominciare. Qui il Partito democratico, con buona pace dei dirigenti vicini all’ex premier e al suo luogotenente Davide Faraone, sta lavorando per abbracciare Leoluca Orlando in vista delle amministrative che si terranno tra qualche mese. I giochi non sono ancora fatti ma l’aria che tira è chiara ed è questa. E cosa farà il povero renziano palermitano a quel punto? Dovrà andare in giro per la sua Felicissima città a chiedere voti a sostegno di quel sindaco di cui i renziani locali hanno detto peste e corna un giorno sì e l’altro pure in tutti questi anni? Ce la farà? Vedremo. Di certo, questa piccola storia panormita è solo uno dei tanti sintomi di quella caduta del renzismo cominciata con i tremendi exit poll del 4 dicembre, che hanno ridimensionato l’invincibile macchina da guerra dell’ex Rottamatore. Un terremoto che dopo aver spedito Renzi fuori da Palazzo Chigi ora pian piano sta facendo sgretolare il renzismo tutto. Quel renzismo che dopo una parantesi d’onnipotenza si dibatte per sopravvivere e restare centrale nelle partite a venire. Ma con mille difficoltà.

Già, in vista delle prossime tornate elettorali, l’apparato renziano sembra destinato a scontrarsi con più d’un problema. Grande parte dei lasciti del renzismo è stata spazzata via. In primis l’ambiziosa riforma costituzionale, che doveva cambiare l’Italia e che è stata bocciata con una percentuale nota. Poi la legge elettorale, il famigerato Italicum, portata a casa con fatica e già da buttar via. E ancora il Jobs act della discordia, che rischia di finire a brandelli per mano di un altro referendum, che Gentiloni cercherà di disinnescare. Quali altre frecce restano all’arco della retorica renziana per le prossime disfide elettorali? Non certo quella della Buona scuola, che tanta impopolarità è costata da spingere persino Gentiloni nella genesi del suo governo fotocopia a fare piazza pulita di quanti si erano fatti vedere al ministero dell’Istruzione in questi anni.

Difficile sarà ripescare la suggestiva narrazione della rottamazione, tanto più in Sicilia, dove il renzismo s’è trasformato in tempi brevissimi da movimento di rinnovamento a circolo di Palazzo o peggio torpedone per cambiapartito d’ogni provenienza. La sistematica occupazione degli spazi di governo e sottogoverno e le porte spalancate al trasformismo politico sono diventate in breve la cifra più riconoscibile del renzismo siciliano, malgrado i buoni propositi e i proclami. E l’opposizione interna a Crocetta, che i renziani hanno tentato di far passare come il freno al cambiamento, non si è spinta mai fino alla rottura, proseguendo sempre sull’equilibrismo del piede in due scarpe, della corrente di lotta e di governo (e sottogoverno), perdendo inesorabilmente smalto e credibilità. Non solo. Il ricambio generazionale è rimasto una chimera, giovani e facce nuove sono rimasti ai margini mentre la scena restava tutta appannaggio di notabili scafati.

E così si arriva all’oggi. Con i renziani sotto scacco o quasi a Palermo. E con Davide Faraone che reclama primarie per Palazzo d’Orleans dicendosi pronto a stare “dall’altra parte” rispetto a Crocetta. Con cui però in giunta siedono da un bel pezzo i “suoi” assessori. Non sarà facile per il popolo renziano tentare la rimonta del consenso in Sicilia con questo viatico. Di certo c’è che l’ombra di una possibile leadership intravista negli ultimi tempi è tornata appunto un’ombra, a suggello dell’avvilente caos politico siciliano.

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