CATANIA – Nei millennials, forse, non provoca nulla. Nessuna evocazione, nessun ricordo. Ma per chi è nato prima degli anni Ottanta, in quel mondo diviso dalla guerra fredda e costantemente sull’orlo di un conflitto nucleare, il fermento militare nel Mediterraneo porta a galla memorie e sensazioni. Come quella dell’essere prossimi a una nuova tragedia mondiale da combattere, stavolta, nel centro del Mediterraneo, con la Sicilia, ca va sans dire, campo di battaglia privilegiato.
Quella crisi scampata nel 1986, quando dalla Libia partirono due missili diretti a Lampedusa (finirono, poi, in mare) per qualcuno, torna attuale. La sensazione dell’orlo del baratro, la paura di un bombardamento, di udire le sirene degli attacchi aerei per la generazione figlia di quella che sembrava aver archiviato la guerra una volta per tutte – almeno in Europa – tornò allora con forza. Entrando anche nelle menti di chi allora era bambino che, come chi scrive, sperimentò il timore del conflitto prima e del nucleare poi.
A pochi giorni di distanza dalla crisi dei missili libici, poi rientrata, esplose infatti il reattore nucleare di Chernobyl. Due episodi a distanza di pochissimo tempo insegnarono in un attimo come, ciò che sembrava scongiurato, limitato, confinato in quello che allora veniva definito Terzo Mondo, poteva diventare vera guerra, vera distruzione, vera morte.
A scontrarsi, su terreni distanti, erano Usa e Urss. Gli stessi due Paesi, le stesse due potenze che oggi giocano a un pericoloso tira e molla sulla testa del Mediterraneo. E su quella dei siciliani che ospitano l’avamposto americano di Sigonella. Una situazione esplosiva che si ripete dopo trent’anni. Ma che oggi, come allora, fa tirare il fiato a tanti siciliani al centro di un potenziale conflitto mondiale.