Morire a 19 anni in carcere, senza un perché. Carmelo Castro, giovane incensurato catanese, è morto il 28 marzo 2009 all’interno della sua cella, nel penitenziario Piazza Lanza del capoluogo etneo. La versione ufficiale parla di suicidio, ma sono tante le incongruenze che non convincono la famiglia del giovane e che hanno portato la Procura di Catania a riaprire il caso, archiviato nel luglio dello scorso anno. La mamma del ragazzo, Grazia La Venia, ha parlato con Livesicilia.
Che tipo di ragazzo era suo figlio Carmelo?
“Mio figlio era tranquillo, socievole, allegro. Un ragazzo senza problemi. Per molti anni ha vissuto in Germania, ci siamo trasferiti lì quando Carmelo aveva sette anni. Da qualche tempo eravamo tornati tutti in Sicilia. Qui non aveva un lavoro stabile, si arrangiava con lavoretti. Ha fatto il cameriere, il meccanico e altre piccole cose per tirare a campare”.
Carmelo viene arrestato il 24 marzo con l’accusa di avere preso parte ad una rapina in una tabaccheria. Il sospetto è che suo figlio abbia fatto il palo ad alcuni malviventi. In che modo e quando Carmelo è entrato in contatto con queste amicizie pericolose?
“A me non risulta che Carmelo abbia avuto mai qualcosa a che fare con queste persone o con ambienti criminali. Mio figlio si è sempre dichiarato innocente riguardo a quella rapina. Ha sempre sostenuto che si trovava lì per comprare le sigarette, non per fare il palo a quei rapinatori”.
Ma ci sono dichiarazioni di suo figlio, messe a verbale durante l’interrogatorio con i carabinieri, nelle quali sostiene di avere subito minacce e pestaggi da parte dei componenti della banda con cui aveva fatto la rapina che non volevano permettergli di uscire dal giro.
“E a me chi lo dice che le dichiarazioni messe a verbale siano frutto veramente di mio figlio? Potrebbe persino essere stato costretto a dire quelle cose. Nel documento c’è anche scritto che Carmelo in passato era stato picchiato dalla banda e che avrebbe riportato la frattura del naso. Io non ne so niente e da madre mi sarei dovuta accorgere se mio figlio avesse avuto il naso rotto, non crede?”.
L’ultima volta che ha visto suo figlio è stato il giorno dell’arresto, quando Carmelo è stato portato nella caserma dei carabinieri di Paternò. Lei ha raccontato delle urla udite durante l’interrogatorio e del fatto che, al termine, Carmelo avesse il viso visibilmente gonfio, segno di un pestaggio. Avete chiesto spiegazioni in quel momento alle autorità presenti? Che vi è stato detto?
“Sì, io e la mia famiglia eravamo presenti in caserma, ma in un’altra stanza rispetto a quella dove si stava svolgendo l’interrogatorio. Inizialmente è venuto da noi un carabiniere e ci ha rassicurati. “Signora stia tranquilla, è stata una ragazzata. Fra mezz’ora suo figlio se ne torna a casa”, ha detto. Poco dopo abbiamo iniziato a sentire le urla e i pianti di Carmelo che provenivano dalla stanza dove lo stavano interrogando. Nessuno ci ha dato spiegazioni o ci ha più rassicurati. Siamo tornati a casa e dopo qualche ora ho ricevuto la notizia che mio figlio era stato trasferito nel carcere di Piazza Lanza perché non voleva collaborare con le autorità”.
Durante i giorni di permanenza in carcere ha avuto modo di sentire o vedere Carmelo?
“No, mi è stato impedito. Sono andata a trovarlo il 26 marzo, ma mi hanno bloccata all’ingresso perché Carmelo si trovava in isolamento. Non ci hanno nemmeno mai spiegato il perché dell’adozione di questa misura.
In questi due anni lei e la sua famiglia vi siete battuti per cercare la verità sulla morte di Carmelo. Spesso però non siete stati creduti e ascoltati.
“Sono stati momenti difficili, in realtà lo sono ancora. Per me ogni giorno è un incubo che va avanti. La prima indagine si è conclusa con l’archiviazione, le lascio immaginare la nostra frustrazione. Fortunatamente lo scorso anno abbiamo assunto come legale l’avvocato Pirrone e abbiamo ricevuto il sostegno delle associazioni “Antigone” e “A buon diritto”, poi sono intervenuti sul caso anche alcuni deputati nazionali, che hanno presentato delle interrogazioni parlamentari. E qualche giorno fa la Procura di Catania ha riaperto le indagini”.
Crede che ci sia un legame tra la riapertura delle indagini e il clamore mediatico suscitato dai casi di Stefano Cucchi, Federico Aldrovandi e Giuseppe Uva?
“Forse sì, a livello mediatico sicuramente. Prima d’ora il caso non era stato riportato dai giornali, forse le vicende di quei ragazzi hanno sollevato il problema”.
Pensa che la riapertura delle indagini sulla morte di Carmelo sia un segnale della volontà di fare chiarezza su quanto è accaduto? Ha fiducia che venga fatta giustizia?
“Sì, sono fiduciosa. Penso che qualcosa si stia muovendo, finalmente. In quanto madre devo sapere la verità su quello che è successo a mio figlio Carmelo. E’ un mio diritto”.